Il Piccolo Teatro
e la Scala
Il Piccolo Teatro
“Il Teatro del popolo”
Nella primavera del 1947 il Sindaco di Milano, Antonio Greppi e il critico Paolo Grassi, descrivono ai soci il neonato Teatro del popolo istituito dal Comune di Milano. L’esigenza di questo progetto nasce dall’idea che il Comune non dovesse occuparsi soltanto della vita economica dei cittadini ma rispondere anche alla “cura delle anime” attraverso il teatro. In quel periodo Milano aveva già diversi teatri attivi ed è per questo che non tutti si erano dimostrati entusiasti all’idea di averne un altro. Greppi risponde alle critiche spiegando che i teatri che erano presenti in città erano “Teatri che inseguono il pubblico”, mentre l’intento del sindaco e di Paolo Grassi era quello di creare un teatro che potesse essere “un punto fermo di stile, di educazione, di arte” al quale il pubblico si abitui ad accedere. Nasce così il Piccolo Teatro del Broletto, piccolo perchè non si era voluto fare il passo più lungo della gamba. Il fine di questa nuova istituzione è educativo, si vuole infatti formare il pubblico e non assecondarne ciecamente i gusti.
Il Piccolo Teatro del Broletto
Paolo Grassi entra in questioni più tecniche e sottolinea come nelle grandi città europee i teatri non siano affidati ad una gestione privata come invece accade a Milano. Nel dopoguerra, con la città da ricostruire, il Comune non aveva i mezzi economici per sovvenzionare anche un’importante attività teatrale, ma aveva degli spazi che potevano essere affidati a qualche soggetto privato che avrebbe perseguito i suoi interessi. Il Piccolo Teatro vuole essere concepito sia come cinema di film in lingua originale e prime visioni sia come un teatro, i cui spettacoli potevano contare su numerose repliche qualora il pubblico avesse frequentato assiduamente la sala. Il Comune condivide la visione di Paolo Grassi e istituisce una Commissione teatro del quale fanno parte Giorgio Strehler, Vito Pandolfi e Mario Apollonio, che si occuperà della programmazione artistica e tecnica. Il primo programma artistico prevede quattro spettacoli: “ Il mago dei prodigi” di Calderon de la Barca, “L’albergo dei poveri” di Maksim Gorkij, “Le notti dell’ira” di Armand Salacrou e “Il servitore di due padroni” di Carlo Goldoni. Dai titoli si può intuire che la Commissione voglia elaborare un cartellone che contenga delle opere che possano far convergere diversi aspetti come un’istanza di tipo sociale oppure un carattere spirituale. Lo spazio individuato per attori e registi è il palazzo Broletto, che durante la guerra era una caserma per munizioni, ripulito e reso accogliente con il lavoro, anche manuale, di tutte le persone coinvolte nel progetto. Dal giorno dell’inaugurazione, il 14 maggio, la responsabilità si sposta su coloro che hanno rilevanza nella società civile e che potranno favorire l’attività del teatro.
I conti economici
Sul Guerin Meschino era apparsa una figura di Antonio Greppi che lasciava trasparire una certa polemica rispetto agli investimenti pubblici nel Piccolo Teatro. Si recriminava al sindaco di aver speso ben 20 milioni, cifra non vera, dal momento che il supporto economico ammontava a soli circa 3 milioni. Il Teatro poteva godere inoltre di una sovvenzione statale di circa 330 milioni all’anno. Il resto dei fondi usato per ristrutturare l’ambiente era stato a carico del Teatro stesso. Per sostenere le spese, inoltre era istituita un’associazione, gli “Amici del Piccolo”, i cui membri avevano il diritto di eleggere i propri rappresentanti nel consiglio di amministrazione, partecipare alla vita artistica del Teatro e mantenere i rapporti con gli altri Enti pubblici. Ma le spese erano comunque molte ed è per questo motivo che Antonio Greppi e Paolo Grassi si rivolgono ai soci del Rotary affinché possano prendere in carica parte degli oneri previsti per il funzionamento del Piccolo Teatro.
Primi bilanci
Nel 1953, quando Paolo Grassi diventa socio del Rotary, il Piccolo Teatro mantiene le sue promesse e al suo bilancio si contano 55 lavori teatrali, 1450 rappresentazioni a Milano e 350 in altre città italiane, 83 all’estero. Il pubblico frequenta con entusiasmo il teatro come dimostrano le numerose repliche in programma. Questo successo è sicuramente da attribuire alla determinazione di Paolo Grassi che si è impegnato sia come critico teatrale, che come organizzatore. Dei 22 mila spettatori circa la metà provengono dalle prenotazioni di associazioni, CRAL aziendali e dagli abbonamenti anche a prezzo ridotto per favorire l’accesso agli spettacoli da parte di studenti, operai e altre fasce di cittadini con minore disponibilità economica. Il successo e la crescita del Piccolo Teatro sono testimoniati anche dall’imminente tournée che avrebbe portato il progetto di Paolo Grassi in America del Sud, in Austria, Germania e Scandinavia per quattro mesi.
La tourneé in America Latina
Il viaggio del Piccolo Teatro in America Latina non nasce in Italia ma in Francia. Il delegato del Brasile all’Unesco aveva telefonato a Paolo Grassi mentre si trovava a Parigi proponendogli di andare a San Paolo per celebrare i 400 anni della città. Prima di accettare degli inviti per una tournée, il Piccolo doveva accordarsi con la Presidenza del Consiglio, la quale in precedenza, aveva negato un accesso negli Stati Uniti mentre aveva suggerito di buon grado un viaggio in America Latina. I motivi dell’esito positivo sono da ricercare nell’alto tasso di emigrazione italiana in questo continente, che aveva portato l’avvio di diverse istituzioni di cultura italiana come gli istituti di cultura, le scuole di italiano che avrebbero sicuramente contribuito ad una promozione del Piccolo Teatro. Paolo Grassi tiene a sottolineare che aveva scelto di sostenere e rappresentare opere di autori italiani: per questo motivo, sei, degli otto spettacoli in programma, erano italiani che si affiancavano all’Elettra di Sofocle e al Giulio Cesare di Shakespeare.
Questi otto spettacoli volevano dare un senso storico e rappresentare in un certo senso l’evoluzione del teatro italiano. Paolo Grassi aveva sottolineato, inoltre, che il criterio storico non era stato l’unico per le sue scelte. Aveva voluto portare in America Latina opere meno conosciute di grandi autori, dal momento che è molto più facile che fuori dall’Italia il pubblico sia più abituato ad assistere a spettacoli di testi molto celebri e collaudati. Tra le scelte di Paolo Grassi ci sono “Vestire gli ignudi” di Pirandello, “Un caso clinico di Buzzati” e un’altra opera di Bontempelli.
Il debutto a Buenos Aires, il 4 di giugno, aveva coinvolto 38 persone di cui 28 attori e 10 tecnici. Gli spettatori sono stati 75.000 per un incasso pari a un milione e 200mila? lire al giorno. In Brasile l’incasso era stato tre volte maggiore rispetto alle aspettative. Questi numeri confermano il successo del Piccolo Teatro che si era ripetuto di tappa in tappa con un pubblico eterogeneo. A Montevideo si erano alternate repliche per gli studenti con quelle per tutti i famigliari del Presidente Vargas. Oltre alle recite, la compagnia si era impegnata anche in altre attività culturali come letture di commedie italiane, di poesie o dibattiti teatrali e culturali alla radio e alla televisione. Il successo non era stato solo economico, ma anche politico e mediatico: ad ogni rappresentazione si era registra la presenza di personalità del governo e dei capi di Stato e la stampa aveva dedicato circa 1200 articoli che avevano raccontato non il teatro italiano in generale, ma il Piccolo Teatro della città di Milano.
La tourneé in Jugoslavia
La tournée in Jugoslavia aveva avuto luogo dal 1 al 17 settembre del 1955, e anche in questo caso, il viaggio non aveva avuto soltanto un carattere culturale ma anche politico. Era infatti la prima volta che l’Italia si presentava in Jugoslavia con un’iniziativa ufficiale dopo il 1945, quindi dopo la fine della seconda guerra mondiale. La tournée era stata possibile per un invito da parte della Jugoslavia che si era fatta carico delle spese dei trasporti e della permanenza della compagnia, mentre il governo italiano aveva provveduto ai compensi degli attori. In relazione alle tournée, Paolo Grassi teneva sempre a sottolineare che gli scambi culturali dovevano avvenire con tutto il mondo al di là delle divergenze politiche e delle frontiere nazionali, senza esclusioni. Almeno la cultura doveva essere un “oggetto di libero scambio”. Qualche tempo prima la Jugoslavia aveva inviato a Firenze un suo balletto poi altre produzioni a Venezia, Milano e Torino, quindi è proprio in quest’ottica di scambio che il Piccolo Teatro intraprende questo viaggio. La tournée comprendeva nove città e nonostante le difficoltà linguistiche e logistiche aveva avuto molto successo. Per il viaggio in Jugoslavia il Piccolo aveva portato un baule pieno di libri italiani da lasciare nel paese, colmando una mancanza di cultura italiana dovuta ad accordi commerciali poco sensibili allo scambio in ambito letterario. Quest’iniziativa aveva raccolto l’entusiasmo degli ospitanti e Paolo Grassi si ritrova a ricoprire un ruolo di mediatore presso le autorità per favorire iniziative per la promozione della lettura. Come da abitudine Paolo Grassi aveva ricordato che la città di Milano viaggiava con il Piccolo Teatro e lo avrebbe fatto sempre in futuro, nei prossimi spettacoli previsti in Scozia, Svezia, Danimarca e nelle due Germanie.
Ernesto Calindri: un attore rotariano
Il 26 giugno del 1962 Ernesto Calindri si presenta ai soci. Lui non è un milanese di nascita ma nel suo intervento dichiara il suo amore per la città ricordando quando, da giovane, si era ripromesso di vivere a Milano. La professione di attore era arrivata per caso, e per bisogno. L’attore Luigi Carini gli aveva proposto una piccola parte dicendogli: “Sei distinto, hai una bella figura, la parte del cameriere la potrai fare benissimo!”. I suoi contributi alle riunioni del Rotary riguardano soprattutto interventi di storia del teatro come per esempio, la nascita delle Accademie, la fondazione del Piccolo, fino allo sviluppo della televisione che in quegli anni aveva contribuito alla crisi del teatro. Secondo Calindri, alcuni passaggi avrebbero dovuto avvenire con più attenzione. Il passaggio che ha visto lo sviluppo dei Teatri stabili a sfavore delle “compagnie di giro”, aveva penalizzato i capoluoghi di provincia che non potevano più contare su una programmazione degli spettacoli garantita. La crisi della metà degli anni 60 del teatro di prosa era dovuta in parte agli attori, che preferivano lavorare nel cinema o in televisione e in parte al pubblico che non frequentava più così assiduamente le sale teatrali. A tal proposito aveva invitato i soci a non perdere interesse nel teatro e di contribuire con la loro presenza agli spettacoli.
All. Boll. n 37 , 3 marzo 1964
“A mio avviso, per quanto riguarda me trovo, che pur riconoscendo necessaria una evoluzione del teatro, in Italia bisognava a mio avviso procedere con una maggiore cautela perlomeno fino a quando come dicevo un momento fa, i Piccoli Teatri non avessero avuto un’organizzazione e una sede in ogni capoluogo, non bisognava dichiarare guerra alle compagnie di giro, trascurando così quel pubblico della cosiddetta provincia che ha dato così tante soddisfazioni al Teatro e a tutti noi. Cari amici rotariani, io vi ringrazio veramente di questa attenzione e vi dirò che sono particolarmente lieto di questo incontro perché l’attenzione con cui mi avete seguito mi convince ancora una volta che il Teatro è ancora interessante, che è vivo e che non morirà mai”.
Il teatro in crisi: negli anni 90: il punto di vista di Ernesto Calidri
All’inizio degli anni 90 il socio e attore Ernesto Calindri si rammaricava della scarsa affluenza nei teatri milanesi in considerazione della sua popolazione. Il Teatro, aveva affermato Calindri, era qualcosa di necessario perchè era lo strumento per comprendere meglio il mondo e sé stessi, “una ricerca della verità della vita”, dal momento che sul palcoscenico è sempre messo in scena tutto quello che fa parte dell’esistenza umana. Quali erano le cause di questa crisi? innanzitutto la mancanza di un pubblico che non era abbastanza stimolato e incuriosito verso gli spettacoli in prosa. Il teatro non era argomento di discussione né a livello pubblico né privato. Di conseguenza non poteva svilupparsi l’abitudine di frequentare le sale. La RAI per esempio negli anni passati aveva trasmesso degli spettacoli, dei drammi e degli sceneggiati ma all’inizio degli anni 90, non aveva dedicato nessuna ora in prima serata al teatro di prosa.
il Rotary negli anni 87-88, quando era Presidente Ettore Coggi era parte attiva in iniziative per la promozione del Teatro. Una di queste, proposta proprio da Ernesto Calindri, era una collaborazione tra Rotaract e le scuole per la realizzazione di programmi specifici, oppure pomeriggi rotariani di teatro o ancora recite per malati o invalidi. Ma tutte queste buone intenzioni purtroppo erano finite nel nulla. La serata era stata anche un’occasione per Ernesto Calindri per ripercorrere la sua carriera e le persone con le quali aveva collaborato in 64 anni:
“Ho recitato con tutto il Teatro italiano. Da Emma Grammatica e Ermanno Zacconi, da Ruggero Ruggeri a Dina Galli, da Renzo Riccia a Elsa Merlini, Memo Benassi, Andreina Pagnani, Antonio Gandusio, Sara Ferrati, Armando Falconi… Ho avuto come registi Guido Salvini, Luchino Visconti, Giorgio Strehler e tanti altri. Non ricordo il numero delle commedie che ho recitato, ma se non sono state mille possono essere di più! Sono stato in tournée tre volte nell’America Latna recitando in Brasile, Cile, Perù. Ho fatto molta televisione, molta radio, un po’ di cinema e molta pubblicità”.
Bollettino n. 8, 13 ottobre 1992
Ernesto Calindri: “Caro Calindri, Io me ne infischio del Teatro di prosa, perché trascorro tutte le mie serate in modo piacevole ed intelligente, io domanderò subito: “Ditemi come fate? Perché quando non recito potrò imitarvi!” Ma sappiamo benissimo come la maggior parte di noi italiani, passa le proprie serate. Schiavi di quell’affascinante mostro che si chiama televisione e che raramente ci propina programmi interessanti. Io credo non ci sia bisogno di ripeterlo, sono innamorato della mia professione, del mio lavoro e anche dopo 64 anni è qualcosa di toccante e profondo. Attualmente recito in una commedia di Pirandello al Teatro Nazionale: “Pensaci Giacomino!” e le repliche proseguiranno fino a domenica 1 novembre. Se qualcuno vorrà assistere allo spettacolo ha la mia garanzia che non uscirà dal Teatro Nazionale deluso!”.
Boll. 16 del 29 Aprile 1947
“Ci siamo domandati, dopo esserci preoccupati di tutti gli impegni e delle esigenze economiche, se il Comune non avesse altri compiti più importanti da assolvere e ci siamo risposti, da buoni democratici naturalmente, che tale compito è di decisiva importanza, ci siamo persuasi che il Comune interviene in certo modo anche con il dovere di curare le anime”. (…) Abbiamo pensato che si dovesse fare qualcosa di simile anche per la prosa. Ci è stato obiettato: “Ma ci sono molti teatri a Milano”, ma non hanno la funzione che noi attribuiamo al teatro. Sono teatri che inseguono il pubblico. La nostra preoccupazione è invece creare un teatro che costituisca un punto fermo di stile, di educazione, di arte, al quale il pubblico si abitui ad accedere. E così è nato il Piccolo Teatro del Broletto”. (…) Abbiamo scelto degli attori eccellenti, Salvo Randone, Lilla Brignone, Elena Zareschi, Lia Zoppelli, Gianni Santuccio. Li abbiamo affidati a registi di chiara fama, Teatro centralissimo, a Palazzo Broletto, dove c’era la Muti, stabile nel cuore della città. Rinnovato il teatro in due mesi, abbiamo trovato una caserma per munizioni e oggi chiunque vi può trovare una sala accogliente, linda, pulitissima, confortevole senza essere snob, perfetta in tutti i servizi, con tutte le comodità. (…) Scusate se insisto presso di voi, dato che queste cifre di debito che per noi sono enormi a che suddiviso fra una varietà di cittadini in grado di corrispondere ed amare l’iniziativa diventano modestissime, per chiedervi se non voleste prendere in considerazione l’eventualità di una, come dice Greppi, caratura individuale e modesta, anche modestissima, per dimostrare una tangibile affezione e un tangibile sostegno a questo Teatro. E ho finito… (Applausi).
Boll. n. 381, 28 settembre 1954
[Paolo Grassi] “Abbiamo interesse a sottolineare le iniziative, i prodotti italiani. Non abbiamo nessun interesse a rappresentare in francese il Cyrano de Bergerac o reagendo a questo, senza fare della retorica nazionalista, ma per ragioni evidenti, perchè non c’è nessun straniero che viene a rappresentare Pirandello in Italia. A noi interessa sentire Laurent Olivier nel Shakespeare, non ci interessa sentire i Sei personaggi rappresentati da Ludwig. Su questo terreno dello scambio internazionale, soprattutto ufficiale, pesante sull’economia nazionale, il criterio della nazionalità o della quasi completa nazionalità del repertorio è fra i più importanti. Su questo terreno abbiamo scelto 8 spettacoli, dei quali 3 classici e 5 contemporanei dei quali due stranieri e sei italiani. (…).
Per esempio, un dato di fatto che dimostra il successo politico non più teatrale della tournée è questo: che i brasiliani non avevano fiducia nella nostra visita e avevano previsto una media di incasso o da 40mila cruzeiros, abbiamo fatto ben 120 mila cruzeiro di media, un milione e 250 mila sono gli incassi che Gassmann, senza nessun desiderio di criticare, ha fatto in una settimana di recite a San Paolo, ossia quanto noi facevamo in un giorno!” (…) Da un punto di vista di impressioni personali, che sono affrettate volutamente, io vorrei ritornare su quanto detto prima e cioè anzitutto che sono dei paesi giovani e con un avvenire. Personalmente come europeo credo concordando con chi c’è stato, mi sono sentito appartenente ad un paese glorioso, pieno di fascino e di capriccio, [manca qualcosa?] non hanno capricci, formalismi, non hanno tutti quegli aspetti di tradizione malintesa che ha oggi l’Europa. Hanno qualità che noi non abbiamo. Giudicare anche il problema politico giudicando sui fatti Peron e Vargas a distanza, mi pare sia sbagliato, perché questi fatti possono essere giudicati esattamente solo in loco. Il cosmopolitismo di Buenos Aires è enorme; la città ospitava contemporaneamente balletti spagnoli, compagnie belghe e compagnie italiane; cose di questo genere danno ad una grande città quel linguaggio cosmopolita che solo Parigi ha nel mondo, che non ha Londra e New York.(…)
Vi sarà caro e lo sottolineo, sapere che in 200 articoli di stampa, nei manifesti e nei discorsi, negli applausi come nella critica, non si è mai parlato soltanto di teatro italiano, ma si è parlato anche e soprattutto in particolare del Piccolo Teatro di Milano. Il nome di Milano è corso decine di migliaia di volte per questa nostra presenza. Questa per noi milanesi credo sia il più sottile motivo di soddisfazione ed è stato il nostro motivo di commozione alla riunione del Rotary di Montevideo in cui si è parlato di questo. E’ questo per noi motivo più bello di rimpianto e promessa per tornarvi.”
All. n.431 del 4 ottobre 1955
“Una cosa ci ha dato molta gioia. Abbiamo portato con noi, come avevamo fatto nel Sud America e come facciamo quando lasciamo l’Italia, un baule, il n. 103, abbiamo 110 bauli di materiali – il 103 è destinato a portare i libri. Abbiamo portato 500 volumi italiani che ci hanno regalato i migliori editori italiani, volumi di sociologia, di letteratura, arte di poesia, di teatro italiano che abbiamo regalato ai nostri ospiti. Sono stato coperto letteralmente di richieste di curiosità appassionate verso le cose dell’Italia in genere, verso cose della nostra cultura in particolare, che non abbiamo potuto soddisfare che in misura minima, bisogno che ho prospettato alla nostra direzione generale delle relazioni culturali con l’estero e direttamente al ministro degli affari esteri. (…) Però è mia precisa opinione dopo questo lungo e meticoloso viaggio che ho fatto, non solo come teatrante, ma come credo buon cittadino del nostro paese che è indispensabile necessità aprire a Belgrado e a Zagabria due istituti di cultura e a Capodistria e a Fiume due sale di lettura, delle biblioteche e almeno un ufficio consolare a Lubiana. (…) Vi ho detto tutti i dati di questa visita, dati che ho avuto il piacere di riferire al Rotary. Vi posso comunicare, spero vi faccia piacere, non fosse altro per il fatto che il nome di Milano ha viaggiato con noi, che abbiamo firmato un contratto con il Festival di Edimburgo che si terrà l’anno prossimo dal 25 agosto al 2 settembre”.
Il Teatro alla Scala
Il Teatro alla Scala e la musica
Milano non era mai stato un centro musicale come Venezia, Roma o Napoli, tuttavia negli anni 60 vive una rapida ascesa. L’interesse per la musica da parte dei cittadini milanesi risale al diciottesimo secolo; a quel tempo la città disponeva solo del teatro Ducale che fu distrutto nel 1776. In seguito i palchettisti proprietari del teatro si erano impegnati a contribuire a loro spese alla ricostruzione di un teatro nuovo che sarebbe stato inaugurato il 3 agosto del 1778 come Teatro alla Scala. Il pubblico sembrava amare il melodramma e di seguito furono fondati altri due teatri: il Carcano nel 1800 e il Re nel 1813. Seguì l’istituzione del Conservatorio di Musica presso l’ex Convento dei Canonici Lateranensi. Sempre in questi anni Giovanni Ricordi fondò la Casa Ricordi, al fine di valorizzare il mondo musicale e favorire i rapporti con artisti e compositori di tutto il mondo. Nel 1864 era stata fondata la “società del Quartetto” e dieci anni dopo la Società Orchestrale della Scala e altri teatri come il Teatro Lirico. Negli anni questa tradizione si era sempre più consolidata grazie a coloro che avevano dedicato in maniera disinteressata tempo e risorse perché, come commenta il socio Riccardo Castagnone Prati, “senza metropolitana si vive scomodi, ma senza spiritualità non si vive”.
All. Boll n. 12/60-61 del 21 settembre 1960
“Per la cronaca vi dirò che il Teatro Ducale era bruciato il 25 febbraio. Il 18 marzo era già stata decisa la ricostruzione del nuovo Teatro, l’8 di aprile era già pronto il progetto del Piermarini e il 3 di agosto del 1778 si aprivano i battenti del nuovo teatro alla Scala per la rappresentazione dell’”Europa riconosciuta” di Antonio Salieri: 21 giorni per decidere, 21 giorni per approntare il progetto e poco più di due anni per concludere il lavoro. Complimenti di tutto cuore ai nostri antenati! E qui per inciso diremmo che i milanesi avevano fornito all’occasione di una nuova conferma di quel tradizionale detto che “Milano deve fare da sé”. (…) Alludo a Giovanni Ricordi che nel 1808 diede origine alla Casa editrice, la quale durante un secolo e mezzo di illuminata attività, costituì il terzo richiamo per il mondo musicale, verso la città di Milano. L’opera che Casa Ricordi ha svolto a favore della musica italiana, per la sua affermazione per la sua valorizzazione nel mondo, oltrepassa i termini di una semplice ammirazione elogiativa, perché l’attività che essa svolse dalla sua fondazione ai giorni nostri raggiunse un valore, che potrebbe definirsi determinante per la produzione musicale italiana”.
Il panorama musicale milanese negli anni 70
Il consocio avv. Alfredo Amman aveva offerto una panoramica dettagliata dell’offerta musicale a Milano che sul lungo periodo era diventata sempre più importante. Nel 1864 Milano era stata la prima città dove era stata fondata la prima associazione di musica da camera, un genere a quel tempo sconosciuto e che aveva potuto continuare ad esistere e finanziarsi grazie a soci del Rotary. Negli anni 70 i concerti di musica da Camera si svolgevano in forma continuativa e stabile grazie a diversi Enti come la Società del Quartetto, la Piccola Scala, L’ALCA (Associazione lirico concertistica Ambrosiana), il Circolo della stampa, l’Ente dei Pomeriggi musicali del Teatro nuovo. Questa varietà di istituzioni aveva avuto un impatto positivo sull’offerta musicale della città che era diventata molto ampia e poteva andare incontro ai gusti e alle esigenze di pubblici molto diversi. Una nota a margine era stata fatta per la Società del quartetto, la quale aveva prediletto delle esecuzioni di musica di avanguardia. Questa scelta, da una parte aveva aggiunto valore al panorama musicale milanese, dall’altra non si era dimostrata remunerativa sul fronte degli ingressi, per questo motivo la sua sopravvivenza doveva contare sul denaro pubblico e sulle donazioni di vari benefattori tra cui anche molti rotariani che da sempre si erano dimostrati sensibili all’offerta culturale della città.
Bollettino n. 50, 20 giugno 1972
Avv. Alfredo Amman: “Nel 1964, otto anni fa (come passa il tempo!) nel commemorare il centenario della Società del quartetto, io avevo rilevato un primato culturale di Milano, in quanto Milano aveva fondato nel 1864 un’associazione per l’esecuzione di concerti di musica da camera, allora quasi sconosciuta, e aveva poi mantenuto in vita con mezzi finanziari dei propri soci questa associazione per cento anni, dicevo allora: oggi devo per centootto anni. Altre iniziative di questo genere, che erano sorte in altre città d’Italia, per esempio Firenze, si erano spente con la scomparsa del mecenate che le aveva istituite. A Milano invece l’istituzione è rimasta, perchè i milanesi l’hanno ininterrottamente alimentata. Per riaffermare l’importanza di Milano nella vita culturale italiana ed europea, la Commissione dei Programmi del Rotary mi ha invitato (anzi comandato) a fare una esposizione dell’attuale situazione della musica a Milano.