La Statale e la Bocconi nel secondo dopoguerra
La ristrutturazione della Statale
Nel secondo dopoguerra il problema delle sedi universitarie dell’Università Statale di Milano non era stato risolto. Le Facoltà di lettere e di Giurisprudenza con le relative biblioteche erano state trasferite in Corso Roma in spazi totalmente inadeguati e decentrati rispetto alle altre Facoltà. Per questo motivo, il Rettore Prof. Felice Perussia, il prof. Cesare Chiodi e il sindaco di Milano, Antonio Greppi, volevano impegnarsi nel realizzare il progetto iniziale di Luigi Mangiagalli, che prevedeva una sistemazione unitaria e centrale dell’Università degli Studi di Milano. Nel 1954 il Rettore è Giuseppe Menotti De Francesco che aveva mediato tra Comune, Stato e Provveditorato per la ristrutturazione e l’assegnazione di eventuali edifici adatti a diventare sede dell’Università. Lo scopo del Rettore era quello di ottenere la Ca’ Granda per l’Università, ma qualora non fosse stato possibile avrebbe preso in considerazione la sede del Museo della Scienza e della Tecnica. Quest’ultima soluzione non era stata necessaria grazie alla collaborazione del sindaco Antonio Greppi e degli assessori preposti. La fase successiva prevedeva la predisposizione dei progetti per la ristrutturazione del cortile sforzesco della Ca’Granda. Per la realizzazione dei lavori il Rettore De Francesco aveva coinvolto Piero Portaluppi e gli architetti Ambrogio Annoni e Liliana Grassi, che riuscirono ad armonizzare elementi moderni e antichi con un grande lavoro di recupero. In particolare Liliana Grassi si era occupata del restauro della parte più antica della “crociera” quattrocentesca. De Francesco aveva evidenziato le difficoltà per la realizzazione del progetto dovute soprattutto a questioni burocratiche rispetto alle autorizzazioni dei vari uffici competenti. Dopo che Piero Portaluppi aveva descritto i lavori realizzati per l’edificio, un gruppo numeroso di soci si era recato a visitare la nuova sede dell’Università.
Piero Portaluppi racconta la Ca’Granda
“Questo colosso ospedaliero fu dovuto allo splendore e al fasto della corte ducale milanese e al volere e alla munificenza di Francesco Sforza. Egli chiamò per progettarlo un nostro bravo collega, Antonio Averulino detto il Filarete che fu il più scanzonato, il più briccone, il più ribelle degli artisti del nostro Rinascimento. Autore ardito anche di qualche grattacielo; per lo stesso ospedale, il primo aveva 40 piani senza ascensori! Però il progetto non fu realizzato, solo perché non era realizzabile. Si tratta di un edificio pensato funzionante fino a pochi anni fa come ospedale, lungo 300 metri, quasi due volte la piazza del Duomo, composto da tre grandi quadri di 100×100 metri. Il quadratone di mezzo, che è rimasto ancora come allora crea uno spazio destinato all’arrivo delle carovane degli ammalati e fu completato dall’Arch. Richini, autore del Palazzo di Brera, del Palazzo Durini, del Palazzo Annoni e di molti altri edifici milanesi. (…). Il tempo passa e dovrei parlarvi veramente di quella che è zona nuova, la nostra zona. Si è iniziato il lavoro del nuovo edificio universitario: qui avranno posto il Rettorato, la segreteria, la biblioteca, il servizio di immatricolazione per tutto l’Ateneo milanese.
Viceversa le costruzioni che stiamo completando saranno destinate alle due facoltà di Legge e di Lettere. Perciò voi vedrete una quantità di aule per 50 allievi, 100 e fino a 400 con tutti gli arredamenti scolastici di moderna logica funzionale: con tutti gli impianti più moderni di illuminazione, termici, tecnici. Ampiezza, lindore e pulizia, sistemazione degli ambienti per lo studio, per lo svago, per le lauree, locali per i barbogi professori e per i chiassosi goliardi”.
Boll n. 393 del 14 dicembre 1954
“Amici rotariani, del problema della sede centrale della nostra Università si sono occupati e preoccupati tutti i Rettori che si sono succeduti nella direzione dell’Ateneo e se ne sono occupati e preoccupati giustamente, perché si tratta di un problema che ha riferimento ad esigenze anche di dignità e di prestigio dell’Ateneo oltre che di giustizia e di necessità. Fra gli altri ha dovuto necessariamente occuparsi e preoccuparsi anche il mio immediato predecessore che non vedo qui: il carissimo collega Perussia. Il problema si è presentato sempre con ostacoli molto notevoli. Ostacolo maggiore è stato determinato soprattutto dalla complessità di rapporti fra Stato e Comune di Milano; complessità di rapporti che non ha potuto nemmeno oggi trovare una soluzione definitiva”.
50 anni dell’Università Statale e le nuove esigenze degli studenti
Il 6 dicembre del 1924 si era svolta la cerimonia d’inaugurazione della nuova Università di Milano, grazie al costante impegno di molti uomini: tra tutti Luigi Mangiagalli. Il Cinquantenario della fondazione dell’Ateneo era stata un’occasione per il consocio Giuseppe Menotti de Francesco per ripercorrerne la storia e ricordare le persone che si erano spese per il suo sviluppo, tra i quali Sileno Fabbri, presidente della Deputazione provinciale, i senatori Ettore Ponti e Giovanni Celoria. Le iscrizioni erano aumentate di anno in anno, ma secondo il relatore quest’aspetto non era stato positivo per lo sviluppo dell’Università. De Francesco sosteneva infatti che le iscrizioni libere, senza una selezione, erano una prassi irresponsabile perché non si poteva garantire un servizio adeguato. Inoltre il presalario stanziato per gli studenti che si trovavano in difficoltà economiche, sottraeva risorse economiche che potevano essere reimpiegate per migliorare le strutture. Il socio lamentava inopportuna anche la soppressione per legge della libera docenza che aveva tolto risorse umane all’insegnamento e alla didattica, dal momento che giovani laureati non potevano prestare il loro servizio volontario e gratuito come assistenti. Secondo il parere di de Francesco, anche gli anni della contestazione non avevano giovato alla didattica, perché alcuni titolari di cattedra facevano prevalere le loro personali preferenze ideologiche, rispetto al lavoro didattico in classe, venendo meno al ruolo di “educatori”.
Bollettino n. 19, 5 novembre 1974
De Francesco: “Così è nata l’Università statale di Milano, così è cresciuta e si è affermata attraverso una schiera illustre di maestri che hanno segnato almeno alcuni di essi dei punti fermi nel campo delle discipline professate. Ne abbiamo ventitré tra noi, iscritti al Rotary Centro, e ne ricordo uno per tutti, il clinico Professor Luigi Villa. E nei banchi del giovane ateneo milanese, grazie ai maestri suoi tanti docenti, che oggi occupano cattedre universitarie, si sono formati e migliaia delle pubblicazioni scientifiche dei suoi istituti tanta luce hanno saputo espandere durante gli anni di vita dell’Università”.
Conoscere il mondo del lavoro
Negli anni 70, nella residenza studentesca adiacente al Politecnico si erano organizzati degli incontri tra studenti e figure del mondo del lavoro. Per questo motivo il dott. Francesco Aglietti si era incaricato di strutturare un programma di appuntamenti dove alcuni dirigenti, imprenditori, tra i quali diversi rotariani, mettevano a disposizione la loro esperienza per orientare i ragazzi che volevano avere un sguardo più ampio sul mondo al di fuori dell’Università. Dopo aver sperimentato diverse formule si era convenuto che questa panoramica doveva avere uno stile semplice, coinvolgente che favorisse la spontaneità nei rapporti durante gli incontri. Inoltre, per rendere lo studente più attivo, si erano presentati dei casi studio, e i ragazzi avevano potuto simulare alcune situazioni o questioni nelle quali avrebbero potuto incorrere una volta nel mondo del lavoro, come per esempio i rapporti con il sindacato, oppure come affrontare uno sciopero. Gli argomenti trattati erano stati la gestione del personale, l’organizzazione aziendale, l’aspetto finanziario dell’impresa.
La Bocconi: un’Università libera
Donna Javotte Bocconi di Villahermosa è ospite della riunione del 30 ottobre 1956. I soci ringraziano l’ospite illustre rimarcando che la l’Università Bocconi di cui lei è Presidente era stata fondata da un uomo, un imprenditore lombardo, che nonostante l’arretratezza dei tempi e la scarsità dei mezzi, aveva contribuito alla ricchezza di Milano e della Lombardia. La Bocconi è un‘Università libera che vuol dire che nasce e si sviluppa esclusivamente in seguito ad iniziative private. Il suo statuto sancisce il carattere economico dell’Ateneo e prevede che venga amministrata da un Consiglio di Amministrazione, da un Rettore e da un Consiglio di Facoltà, secondo le rispettive competenze. Il Consiglio di amministrazione è formato da 19 membri e il Presidente è sempre un membro della famiglia Bocconi o persona designata dalla stessa. I suoi compiti sono nominare il Rettore, i professori e il personale amministrativo, deliberare sui programmi dei corsi, stabilire l’eventuale esonero delle tasse e erogazione delle borse di studio.
Il finanziamento dell’Università proviene soprattutto dalla Fondazione e dalle tasse degli studenti che, negli anni 50, non erano superiori a quelle delle Università di Stato. Uno studente pagava in media 40.000 lire all’anno. Nella metà degli anni 50, le finanze erano impiegate soprattutto per garantire locali sufficienti allo svolgimento delle attività didattiche e alla residenza degli studenti. L’edificio della Bocconi, che comprendeva anche il campus, era costruito su un’area di circa 5000 metri quadri con 360 camere, 180 per i maschi e 180 per le femmine ed era costato 740 milioni provenienti dalle risorse dell’Università e un prestito di 200 milioni ottenuto grazie all’intermediazione di Giordano Dell’Amore. Naturalmente queste spese avevano impattato sensibilmente sulle finanze dell’Ateneo ed è per questo che si auspicava l’aiuto e il contributo degli industriali appartenenti al Club.
I “bocconiani” nella società
Secondo i rotariani riuniti in visita all’Ateneo, il valore dell’insegnamento dell’Università Bocconi viene misurato come si giudica “un’impresa commerciale”, cioè dalla qualità e dalla richiesta del “prodotto”. Molti soci del club di Milano avevano frequentato la Bocconi e ricoprivano cariche importanti, per esempio il dott. Nicolò Dubini era amministratore delegato della Pirelli, il dott. Giordano Dell’Amore era Presidente della Cassa di Risparmio, membro del Consiglio di amministrazione e del Consiglio di Facoltà della Bocconi stessa. Il dott. Senatore Borletti era invece Vice Presidente di Confindustria. I laureati della Bocconi venivano riconosciuti per il loro valore a prescindere dalla classe sociale di provenienza perché con la disciplina dello studio offerto dall’Istituto avevano potuto servire il paese arrivando a dei ruoli dirigenziali.
“Amici rotariani io sono molto lieto di constatare che all’invito del Consiglio d’amministrazione dell’Università Bocconi avete risposto con un numero di presenze insolito. E desidero essere il vostro interprete nell’esprimere alla signora Presidente, al Consiglio di amministrazione, al Magnifico Rettore e al Corpo Accademico Il nostro ringraziamento per questa magnifica idea che hanno avuto di chiamarci qui, invitarci in questo ambiente non solo per farci conoscere le meraviglie di questa Università, ma anche per farci rivivere per un momento la nostra giovinezza. (…) Il Rotary, Signora Presidente, è una caratteristica associazione nella quale ciascuno dei suoi membri rappresenta un particolare forma di attività in ogni campo culturale didattico, libere professioni, industria e commercio e via dicendo. Voi, trasponendo qui la riunione conviviale del Rotary avete fatto quello che state facendo o che intendete fare per formare i giovani, i quali si preparano ad entrare nel tessuto vivo dell’economia nazionale a portarvi le loro fresche ed esuberanti energie, discipline però dalla severità degli studi e da quella dottrina senza la quale oggi nulla di costruttivo si fa anche nel campo economico e complicato”.
“La Bocconi è Università libera. In che cosa consiste la libertà dell’Università? Nell’essere iniziativa strettamente privatistica, nata dal cuore addolorato di un industriale che ha creduto di nobilitare il ricordo del proprio figlio nel modo migliore creando una scuola per tutti i giovani che sarebbero venuti poi. In ricordo di Luigi Bocconi è nata l’Università Bocconi (applausi). (…) E come giudicare il valore dell’insegnamento impartito dalla Bocconi? Direi, come giudichiamo un’impresa commerciale: dalla quale non c’è che da guardarsi in giro: in qualunque settore importante, in posti di primo piano, esistono dei Bocconiani. Cito a caso: nell’industria il Presidente della Montecatini, Dott. Faina, il Presidente della Esso Standard, Dott. Cazzaniga, il recente amministratore delegato della Pirelli, dott. Dubini e chi ci ha organizzato il banchetto, il dott. Ferrante, consigliere delegato della Motta, sono tutti bocconiani”.
Ricordi di un rotariano bocconiano Alessandro Croccolo
Le origini dell’Università Bocconi sono note: il Senatore Ferdinando Bocconi aveva voluto onorare la memoria del figlio scomparso nella battaglia di Adua. L’intenzione era quella di fondare un istituto che “da lui prendesse nome e tornasse utile alla città di Milano e al Paese”. Nel primo anno accademico 1902-1903, gli iscritti al primo anno di corso erano stati 65 di cui 49 provenivano dal liceo, 14 dall’Istituto tecnico e 2 dall’estero. Prima della Bocconi c’erano solo tre scuole superiori per il commercio a Bari, a Genova e a Venezia e dipendevano direttamente dal Ministero dell’industria. Nella visione del Dott. Leopoldo Sabbatini, Segretario generale della camera di commercio e responsabile del programma didattico, la Bocconi si costituiva “come Istituto di alti studi economici articolato su quattro anni di insegnamento”. Un percorso analogo a quello universitario quindi, nel quale “la cultura scientifica doveva continuare e completare con un’adeguata istruzione professionale, al fine di assicurare la completa preparazione dei giovani per i compiti direttivi ai quali sarebbero stati chiamati”. All’inizio gli imprenditori milanesi accolgono questa novità con simpatia ma con scarso entusiasmo, perché volevano verificare la preparazione degli studenti “alla prova”, sul campo. L’Istituto Bocconi poteva godere della collaborazione di molti docenti importanti di discipline, statistiche ed economiche degli altri istituti. Tra il 1906 e il 1914 la Bocconi si era inserita definitivamente tra gli Istituti universitari e gli studenti alla fine del percorso di studi potevano ricevere il titolo di “Dottori in scienze applicate al commercio”.
Era stata fondata L’”Associazione Amici della Bocconi” che aveva il compito di promuovere gli scambi culturali con l’estero. Lo sviluppo dell’Università era accompagnato anche da un’attenzione alla logistica degli spazi, Donna Javotte Bocconi aveva donato, infatti, quattro edifici in Corso Venezia e quando i posti nel pensionato erano diventati insufficienti, aveva stipulato un accordo con il Comune per l’acquisto di 6.100 mq di terreno vicino alla sede universitaria in via Sarfatti. Il prestigio dell’Università Bocconi diventava sempre più importante, e se da una parte i programmi si erano adeguati a quelli delle Università statali, dall’altra la formula di libera Università consentiva una maggiore possibilità di sviluppo autonomo. La Bocconi è stato un altro esempio del successo della collaborazione tra l’istruzione superiore e l’iniziativa privata.
All. boll. n. 623 del 22 settembre 1959
“Il programma del Dott. Sabbatini sulla cui base fu fondata la Bocconi si differenziava radicalmente da quello delle esistenti scuole superiori di commercio: tale programma dopo avere reso omaggio “ai grandi vantaggi che dette scuole avevano apportato al Paese”, poneva in rilievo “come il loro indirizzo professionale diretto ad assicurare agli allievi una cultura di immediata applicazione pratica dovesse essere trasformato in più alto insegnamento per lo studio dei fenomeni economici” e aggiungeva che per avere nella vita economica una parte effettiva era indispensabile essere in grado di conoscere, di valutare, di interpretare le leggi che governano il mondo economico. (…). Gli imprenditori milanesi accolsero il sorgere della Bocconi con simpatia, ma senza entusiasmo; riportandoci alla mentalità corrente circa 60 anni orsono è facile comprendere come pochi si rendessero esatto conto delle idee che il dottor Sabbatini aveva posto a base del suo programma; i più favorevoli, riferendosi alla Bocconi, e ai suoi futuri laureati dicevano “li vedremo alla prova” confortati in questo scetticismo da una clausola della donazione del fondatore dell’università, la quale prevedeva che ove dopo una esperienza di dieci l’iniziativa non avesse avuto successo il fondo di dotazione 400.000 lire sarebbe stato svolto ad un altra iniziativa di pubblica utilità. (…) Altre modificazioni statutarie approvate nel periodo intercorrente fra il 1906 e il 1914 inserirono definitivamente la Bocconi nel quadro degli Istituti universitari quale istituto superiore libero di scienze economiche e commerciali sottoposto alla vigilanza del ministero della Pubblica istruzione.”
Un nuovo corso di laurea per la Bocconi
All’inizio del 1980 il consocio Innocenzo Gasparini, aveva descritto il nuovo corso di laurea in Discipline economiche e sociali che era stato attivato alla Bocconi grazie all’impegno di altri rotariani come Furio Cicogna e Armando Frumento. Questo corso aveva un carattere fortemente interdisciplinare e si differenziava dagli altri per alcuni elementi. Innanzitutto la frequenza doveva essere assidua e regolare poiché erano previsti anche dei seminari e delle esercitazioni. Il numero degli insegnamenti era limitato e infine dopo i primi due anni di corsi gli studenti dovevano preparare una tesina di ricerca. Questo corso rispondeva all’esigenza di allargare gli orizzonti dello studio delle discipline economiche che venivano in questo caso messe in relazione con contesti sociali diversi e in rapido mutamento. Le conoscenze richieste ai dirigenti dovevano spaziare il più possibile anche in ambito storico e politico. La nascita di questo corso s’inseriva in una riforma dell’Ateneo che prevedeva una ristrutturazione dei corsi e dei master che andava verso la direzione di una maggiore specializzazione e una più ampia differenziazione. Per raggiungere questo scopo erano stati tenuti in considerazione diversi aspetti, come il numero consistente di ore dedicate all’insegnamento dell’economia e ai metodi quantitativi, la capacità di lavorare con dei calcolatori. Inoltre si prediligevano gli esami scritti così da poter premiare e valutare la capacità di sintesi e di argomentazione.
Bollettino n. 25, 5 febbraio 1980
Innocenzo Gasparini: “La domanda di laureati che noi abbiamo dinnanzi (ed è una domanda fortunatamente tuttora assai intensa), è sempre più differenziata, sempre più specializzata. E l’Università deve soddisfare offrendo delle preparazioni differenziate. Qui si pone un difficile problema di dosaggio. L’Università deve impartire conoscenze ma soprattutto deve dare dei metodi atti ad affrontare la realtà. La realtà che meno invecchia, in un mondo che continuamente cambia dove le conoscenze specifiche hanno un elevato ritmo di obsolescenza, sono i principi, i metodi atti ad affrontare la realtà, la capacità di ragionamento e di elaborazione scientifica. Occorre però sperimentare una miscela molto attenta fra l’elemento culturale di fondo che permette di capire un mondo che cambia e un bagaglio di metodi: il tutto sorretto dalle nozioni e con un dosaggio che solo l’esperienza consapevole può suggerire mentre allo stesso tempo indica gli adattamenti successivi”.
Il Politecnico e l’istruzione tecnica
Il socio Ing. Gino Cassinis aggiorna il club sui progressi del Politecnico. Al tempo della sua fondazione, il Politecnico doveva servire a quattro diverse funzioni: attuare ricerche e studi intesi a far progredire la scienza, provvedere a dare un’istruzione superiore necessaria all’esercizio delle professioni, contribuire allo sviluppo delle attività produttive del paese, e fornire consulenze per conto di enti pubblici e privati. In particolar modo, negli anni del suo sviluppo, il Politecnico aveva dimostrato di riuscire a soddisfare le aspettative riguardo il contributo alle attività produttive del paese. Questo successo era dovuto in parte al fatto che l’Ateneo trovava, nell’ambiente milanese, un contesto particolarmente adatto ad adempiere a questo scopo. La didattica non si svolgeva infatti solo nelle aule ma anche al di fuori, in realtà, dove gli allievi potevano confrontarsi direttamente con le problematiche organizzative e produttive di un’azienda. Soprattutto tra il 1870 e il 1910, si erano formati ingegneri altamente qualificati, che avevano contribuito a costituire un gruppo di industriali della città e della regione. Il Politecnico e la città di Milano continuavano a collaborare in una simbiosi fruttuosa, da una parte l’Ateneo provvedeva a formare professionisti con le competenze utili in contesti produttivi, dall’altra gli stessi allievi potevano acquisire competenze sul campo perfezionando la loro professionalità in un contesto reale. Nel secondo dopoguerra l’attività didattica si era ampliata con un raddoppio dei corsi, da allora il lavoro del Politecnico era sempre stato intenso anche da un punto di vista della ricerca. Si contano infatti 550 pubblicazioni che si aggiungono a numerosi studi compiuti per enti privati. Erano stati aggiornati anche i piani di studio che erano diventati più attuali, erano stati introdotti i corsi di aeronautica, fisica nucleare applicata, ingegneria sanitaria. Per un funzionamento ottimale, il Politecnico aveva bisogno di laboratori ben attrezzati e grazie a donazioni e fondi speciali messi a disposizione dal ministero dell’Istruzione, la qualità e la quantità delle apparecchiature era migliorata sensibilmente. Gli enti che avevano beneficiato dell’attività del Politecnico erano molti: come, ad esempio, la “Fondazione Ing. Carlo Maurilio Lerici” che si occupava di prospezione geofisica. La collaborazione tra il pubblico e il privato si era realizzata anche in altre iniziative come l’attività del “Laboratorio per prove sulle materie plastiche”, costituito per iniziativa di alcune ditte produttrici e del Ministero dell’Industria. Il Politecnico inoltre, grazie all’impegno dell’ingegnere e socio Arturo Danusso, aveva sviluppato diversi studi sui modelli di costruzioni. Questi studi si basavano sul principio di similitudine, il quale consentiva di dedurre le proprietà meccaniche di una costruzione molto voluminosa, da un suo modello di piccole dimensioni. Avere a disposizione un modello in scala consentiva di ridurre i costi mantenendo l’efficienza della tecnica presa in considerazione. Per sostenere le spese di tutte le nuove attività del Politecnico, si era pensato di costituire degli organismi che, lavorando e fornendo dei servizi anche a terzi, riuscivano ad autofinanziarsi e provvedere a diverse spese nonostante le prevedibili difficoltà iniziali.
All. Boll. 351, 2 febbraio 1954, Relazione del Consocio Dott. Ing, Gino Cassinis
“Conseguentemente, i compiti del Politecnico furono e sono quelli stessi propri delle Università: e precisamente, secondo la legge Casati del 1967 e quella Gentile del 1923: attuare ricerche e studi intesi a far progredire la scienza, impartire l’istruzione superiore necessaria all’esercizio delle professioni. A questi, secondo il mio parere, occorre aggiungere: contribuire allo sviluppo delle attività produttive del Paese edeffettuare esami, misure, ricerche per conto di enti pubblici e privati. Il Politecnico di Milano, salvo qualche periodo in cui, per motivi dipendenti da cause esterne di ordine generale, ha ridotto la sua attività, ha sempre esercitato tutti i compiti richiesti. E del resto non si può parlare di compartimenti stagni, perché ognuna delle attività è strettamente connessa alle altre. La cosa è dipesa essenzialmente dal modo come i milanesi hanno concepito e considerato il “loro” Politecnico e dal modo come questo ha risposto alle speranze che in lui riponevano i cittadini. (…) Si stabilì una specie di simbiosi e, come il Politecnico si foggiava sempre più assorbendo da Milano, questa traeva dal Politecnico nuove ragioni di vita e di armonia, nonché di primato nei diversi campi.(…). Se volessi citare tutte le iniziative e le possibilità del Politecnico nel campo della ricerca pura ed applicata e possiamo anche dirlo di consulenza agli enti tecnici e industriali, abuserei della pazienza di molti di voi. Mi limito, quindi, a qualche settore particolare indicativo delle possibilità offerte anche in settori analoghi. E comincerò con la “Fondazione Ing. Carlo Maurilio Lerici” dovuta alla generosa e illuminata iniziativa del nostro caro collega Ing. Lerici”. (…). Ho forse troppo abusato di voi, cari amici, e della vostra cortese attenzione. Ma l’amore che porto al Politecnico è tale che, per frenarmi, ho dovuto scrivere le parole che vi ho detto: se non mi fossi regolato in questo modo mi avreste dovuto subire chissà mai per quanto altro tempo. Perdonatemi dunque e lasciatemi esprimere una speranza: che l’amore e la considerazione per il Politecnico si sviluppino e si rafforzino nella nostra città e in tutti coloro che della città hanno a cuore le sorti. Esso sarà ricambiato, non ne dubitiamo con altrettanto amore e con opere utili alla comunità”.
L’Istituzione elettrotecnica Carlo Erba
Nel 1928, l’Istituzione elettrotecnica Carlo Erba, che aveva sede al Politecnico, celebrava i primi 50 anni della sua fondazione. In questo caso, la realizzazione di questo progetto era stata possibile grazie alla visione e all’impegno economico dell’ imprenditore milanese Carlo Erba. Egli stesso aveva messo a disposizione del Politecnico una cospicua somma per fondare all’interno dell’Ateneo una scuola di elettrotecnica. La lungimiranza si era dimostrata corretta perché, nei cinquant’anni che avevano seguito la fondazione, il settore dell’elettricità aveva visto un notevole sviluppo. L’Istituzione Carlo Erba era molto importante sia perché era stata la prima scuola di questo genere ad essere fondata in Italia, sia perché in questo istituto si erano potuti formare molti ingegneri elettrotecnici, che poi avrebbero contribuito allo sviluppo di un settore così fondamentale per lo sviluppo dell’economia del paese e tanto caro ai soci Rotariani.
Bollettino settimanale n.48, 14 dicembre 1937
“L’Istituzione Carlo Erba è stata fondata cinquant’anni fa, nel 1887, per la munificenza del noto industriale Carlo Erba il quale ha avuto allora la preveggenza di mettere a disposizione del
Direttore del Politecnico, che era l’Illustre Prof. Brioschi, la somma di L. 400.000. Lascio a voi di fare il conto a cosa corrisponderebbe oggi quelle 400.000 lire del 1887! La donazione di Carlo Erba fu effettuata allo scopo di fondare presso il Politecnico una scuola di Elettrotecnica. Ora se pensiamo al poco che si conosceva di elettrotecnica 50 anni fa e che cosa si poteva inizialmente sperare come sviluppo avvenire di questa scienza, in base alle poche primitive installazioni che esistevano allora, si deve riconoscere che non solo l’atto dell’industriale Carlo Erba è stato munifico per la cifra, ma ha dimostrato in chi lo compiva una facoltà di previsione dei tempi futuri veramente eccezionale”.