Il traffico di Milano: riflessioni, proposte e soluzioni
Decongestionare Milano: un problema antico: 1927-1935
Nel 1927, il socio Ing. Gaetano d’Alò, era direttore dell’Ufficio Tranviario Municipale di Milano. Nei precedenti cinquant’anni, la popolazione di Milano era passata dai 260.000 abitanti del 1880 ai 900.000 del 1927, aumentando il volume del traffico nelle vie del centro, sia in termini di trasporto pubblico che privato. Inoltre l’afflusso verso la città di Milano aveva portato come conseguenza un aumento del traffico cittadino. Per cercare di decongestionare il centro e altre zone, D’Alò aveva illustrato una serie di soluzioni che potevano essere realizzate.
Il trasporto pubblico a Milano era sempre stato considerato insufficiente già a partire della metà dell’800. A quel tempo si discuteva intorno all’idea di introdurre dei tram a cavallo per migliorare il trasporto. Questa soluzione non pareva facilmente percorribile, dal momento che molti ritenevano che le rotaie avrebbero procurato troppo ingombro alle strade cittadine e in particolare di piazza del Duomo. Inizialmente per cercare di risolvere il problema, si inserirono dei semafori e si cercò di allontanare i percorsi dei tram dalle vie del centro spostandoli sui Navigli. Questa soluzione non si rivelò adeguata perché i tram avevano bisogno di ampi spazi di manovra e la zona non aveva piazze o altri luoghi adeguati. Per rispondere alle criticità del traffico cittadino, il Podestà Ernesto Belloni, nel 1932, aveva approvato un nuovo piano regolatore che riconfigurava Milano da città monocentrica a città policentrica. In questo contesto è da situare la prima iniziativa dell’Ing. D’Alò per favorire la viabilità. In accordo con il piano del Podestà, anche il sistema di mezzi pubblici si adeguava alla prospettiva di servire i cittadini che non si spostavano solo da e verso Piazza del Duomo.
Per realizzare questo obiettivo la rete tranviaria fu notevolmente potenziata. Da una parte si decise di aumentare i servizi sulle reti già esistenti incrementando le corse dei tram. D’altra parte, si modificavano i percorsi dei mezzi pubblici che avrebbero evitato il centro e quindi potevano percorrere la tratta prevista in minor tempo. Successivamente per ottimizzare questi provvedimenti, si introdussero degli scambi automatici, si sostituirono i motori esistenti con altri più potenti e si diversificarono i sensi di discesa e salita dai mezzi. Questa riforma aveva portato diversi vantaggi tra i quali la decongestione di Piazza del Duomo e di Piazza Cordusio e, con l’abolizione dell’anello del centro, la diminuzione del tempo di percorrenza delle linee. Tutti i quartieri con una stazione ferroviaria erano stati collegati. In ultimo si erano sperimentate due circonvallazioni: una che partiva da piazzale Loreto e passava per via Farini, e l’altra che cominciava sempre da piazzale Loreto e arrivava fino a Viale Basilicata.
Relazione settimanale n.20 17 maggio 1927
“Altre cure sono state e sono continuamente rivolte ad aumentare sempre più la velocità commerciale dei tram. E’ vero che non avevamo più piazza del Duomo, l’anello di Piazza Cordusio e quello di via Armorari, che facevano perdere del tempo. Ma questo non bastava. Bisognava aumentare ancora la velocità dei trams perché il pubblico desidera di far presto. Oggi un tram che si rispetti non deve andare come una lumaca, ma deve cercare di guadagnare tempo, anche se la strada è stretta e ingombra”.
L'”Ufficio tramviario municipale”: lavorare per l’ATM alla fine degli anni 20.
In un’ottica di miglioramento del sistema pubblico dei trasporti, il Direttore generale e socio Ing. Gaetano D’Alò, riconosceva che la qualità dei servizi andava di pari passo con la qualità della forza lavoro. Per questo motivo dopo aver illustrato il piano di sviluppo, il direttore Ufficio Tranviario Municipale, presentò il progetto che vedeva i lavoratori al centro di una politica aziendale moderna, sia da un punto di vista del reclutamento, che di welfare. In quest’ottica venivano stabiliti dei criteri rigidi di selezione e valorizzati i benefits aziendali offerti ai dipendenti. Per quanto riguarda l’istruzione il limite era fissato per la sesta classe , che corrispondeva al primo anno di secondaria inferiore, ma non mancavano dipendenti che possedevano un titolo di studio superiore. Oltre alla formazione culturale era tenuto in considerazione l’aspetto sanitario ed emotivo e la formazione professionale.
Tra i test effettuati c’erano le prove per l’attività psicosensoriale visiva, per la resistenza al lavoro, per il riconoscimento della direzione dei suoni. L’Azienda aveva l’ambizione di essere un esempio di filantropia industriale convinta che questa politica avrebbe giovato sia ai dipendenti, che alla produttività aziendale. In questo senso aveva messo in atto un vero e proprio piano di assistenza sanitaria per il lavoratore e per la sua famiglia. Erano previste prestazioni gratuite come esami chimici e batteriologici, assistenza ostetrica e sconti sulle cure fatte all’Ospedale Maggiore e soggiorni termali. Questa scelta aziendale aveva dato i suoi frutti visto che i giorni di malattia erano diminuiti drasticamente passando da 90.000 del 1921 con 5.000 dipendenti a poco più di 59.000 nel 1927.
Allegato al Bollettino n.31 7 febbraio 1928
“Il personale nei servizi pubblici di trazione è uno dei fattori più importanti dell’organismo nei servizi urbani, poi il personale è fattore preponderante in modo assolto, sia per il numero, che in rapporto alla grande frequenza e alla limitata composizione dei treni, sia per le attribuzioni che lo mettono in contatto col pubblico in modo così intimo e continuo.(…) L’ignorante, lo zotico non trovano più posto nelle nostre file. Il limite d’istruzione è posto al livello della sesta classe elementare. Ma i concorrenti con titoli di studio superiori non ci mancano e abbiamo ginnasiali e liceali.
L’ispettorato medico fiscale: L’ispettorato medico provvede al controllo di tutti gli ammalati di forma morbosa e detiene un casellario degli esami psicotecnici. (…) Fermiamoci un po’ nel gabinetto psicotecnico per esami microscopici, chimici, batteriologici, radioscopici, radiografici. (…) L’Azienda dà molto ma prende moltissimo concorrendo a costituire un grande esempio di bene intesa filantropia industriale. Nessuna misura coercitiva, un atto di umanità nel senso più scientifico, un risultato industriale ottimo. L’azienda istituì a proprie spese (35.0000 lire? annue) un servizio curativo per gli agenti e per le loro famiglie, dando loro dei vantaggi:
- Cura medico chirurgica ostetrica e domiciliare ambulatoriale gratuita
- Consulenza di tutte le specialità gratuita
- E’ esclusa la specialità delle malattie della bocca e dei denti: la tariffa relativa verrà pubblicata di anno in anno
- Cura della tubercolosi domiciliare ed ambulatoriale gratuita
- Esami chili batteriologici radioscopici e radiografici gratuiti
- Tutti gli altri servizi (trasporti in ambulanza prestazioni a domicilio o in casa) di salute sono a scelta della commissione.
- Sconto del 30% sul prezzo delle cure fatte in ospedale Maggiore dell’Istituto Radiologico Milanese. (…)
Risultato industriale: il risultato industriale è dato dalle seguenti cifre: Le giornate di morbilità annulla medie che nel 1921 erano state di 18, 20; nel 1927 furono molto scarse”.
Il piano regolatore per la viabilità del 1932: l’area metropolitana
Nel 1932 era evidente che il piano regolatore non dovesse limitarsi solo alla città di Milano ma dovesse estendersi anche all’area limitrofa. Si osservava infatti una grande espansione del centro urbano, dovuta anche alla sua posizione nel mezzo di una pianura al centro di attività e di rapporti commerciali.
Esistevano già la Strada Comasina e Strada Valassina che non erano però adatte a regolare il traffico in entrata o in uscita dalla città. Nel nuovo piano era prevista la costruzione di strade più ampie dove sarebbero confluite sia le tranvie per servire un traffico locale, che vie di comunicazione per un traffico più lontano.
Inoltre si prospettava una nuova strada che non era intesa come una nuova circonvallazione, ma un’arteria di 70 chilometri. Questa nuova via era utile per scaricare il traffico di automobilisti che stava aumentando sempre di più. Chi viaggiava da Torino a Venezia doveva trovare una maniera più funzionale per compiere il proprio tragitto senza entrare in città, così come chi doveva entrare nella città di Milano doveva avere a disposizione una via comoda e funzionale. Per questo motivo, il piano regolatore doveva essere redatto su uno studio regionale. L’accordo con gli altri comuni era fondamentale per perseguire l’interesse di tutti e preservare anche le aree verdi interessate, seguendo l’esempio di altre città europee come Parigi e Berlino.
Bollettino settimanale n.97, 29 novembre 1932
“Ma un’altro problema Milano non può dimenticare, ed è quello della sua espansione, Milano si trova in una situazione particolare che non ha riscontro in altre grandi città italiane. Si trova al centro di una vasta pianura, dove sono disseminate diverse città e nuclei abitati: essa è dunque un centro di affari, di lavoro, di attività. Ne consegue che si stabiliscono tra i vari centri rapporti che non possono essere semplicemente quelli demografici. Per questo il piano regolatore di Milano dovrebbe necessariamente estendersi oltre i limiti del territorio milanese e almeno preoccuparsi delle comunicazioni con l’esterno”.
Intorno alle stazioni
Nel 1953, 46 anni dopo che Ulisse Stacchini aveva vinto il concorso per la realizzazione della stazione Centrale di Milano, il Ministero dei Trasporti e il comune di Milano avevano bandito un concorso per rendere i treni accessibili al pubblico e trasformare una struttura architettonica anacronistica in qualcosa di “vivo funzionale ed economicamente attivo”. Il progetto vincitore era stato quello dell’arch. Giulio Minoletti che prevedeva, oltre alle strutture, anche un grande palazzo di uffici, sull’area antistante la stazione Centrale, e la collocazione dell’Air Terminal. Il progetto di fattibilità doveva essere in linea con il nuovo piano regolatore del Comune. Il piano regolatore si basava sulla formazione di due grandi assi molto ampi che si incrociavano in Piazza Baiamonti, ed uno di questi aveva il suo nodo in Piazza della Repubblica.
Inoltre, sull’asse di Viale Zara, stava sorgendo la nuova stazione delle “Varesine”; mentre Piazza della Repubblica e Piazza Duca d’Aosta erano collegate da via Vittor Pisani. il traffico tra le due stazioni principali di Milano sarebbe stato convogliato da un mezzo meccanico indipendente sotterraneo liberando le strade da una gran parte del traffico della zona. L’ing. Giuseppe Voltolina aveva mosso delle obiezioni rispetto al progetto del collega Minoletti. Secondo Voltolina il progetto presentato non teneva sufficientemente conto del fatto che una stazione doveva far convergere in un unico punto mezzi pubblici e persone. La discussione attorno alla Stazione Centrale vede i soci confrontarsi sullo stile dell’edificio stesso, se per l’Arch. Minoletti e per il dott. Gallia la stazione doveva essere ammodernata e resa più funzionale anche con l’insediamento di uffici, secondo Giovanni Bognetti, invece, l’aspetto monumentale dell’edificio doveva essere conservato perchè rappresentava una testimonianza di un certo stile del passato.
Bollettino n. 655, 10 maggio 1960
[Bognetti]: “So che la legge di protezione dei monumenti, coi regolamenti relativi, pone un termine, al di qua del quale la Soprintendenza non è competente: l’edificio deve avere almeno 50 anni; La Stazione fu terminata appena una trentina di anni fa. A mio vedere, è il parere di uno storico, ma in questo caso mi sento appunto su un terreno di competenza, i permessi di demolizione andrebbero piuttosto vagliati e resi difficili quando un edificio appartiene a tempi più recenti ed abbia (com’è indiscutibile in questo caso) carattere monumentale. Perché è certo che si deve constatare, per gli stili del passato, un’avversione quasi costante da parte delle generazioni immediatamente successive: tant’è che, in modo diverso, gli stili non sarebbero cambiati, mentre sono assai spesso con una netta inversione di caratteri, dal gotico al Rinascimento; dal barocco al rococò, al neoclassico e così via. (…) Personalmente so di avere avuto già per lo stile della facciata della Stazione, quella incomprensione, uso il termine attenuato, che in tanti rimane e vigoreggia; ma di averla già superata cosicché anche per un apprezzamento di cultura,
devo dire il prospetto della facciata della stazione, con gli altissimi fornici, con l’ imponenza da antico edificio termale, con la nobiltà del materiale in cui è eseguito, oggi mi piace e altrettanto devo dire per il movimento delle masse, nella visione, da tre quarti, dell’edificio. Che ci siano in più punti dei particolari decorativi verso i quali anche in me l’incomprensione permane, non lo nego, ma altrettanti si trovano per esempio in più punti del Duomo, la cui facciata cento anni fa (e anche recentemente) si voleva completamente rifare, mentre oggi non c’è persona, penso, che la toccherebbe. Per questo il motivo stilistico, nemmeno come pretesto, deve venire in appoggio a modifiche dell’attuale Stazione: mentre va rivendicato ad essa il carattere di un vero monumento storico. (…) Avv. Acetti: Per temperamento sono contrario a forme di conservatorismo del grande brutti. Sono in disaccordo al principio profilato dal mio caro ammirato amico Bognetti e dissento, perché la tutela del brutto non funzionale non mi garba affatto. Penso che il brutto della Stazione non si accorda alle esigenze urgenti di una Milano metropolitana che risorge che non è la Milano del Naviglio sotterrato, ma una Milano modernissima, magnifica, nuova, europea. (…) Vedo Milano in una fioritura di architetti di talento moderno. L’architettura è segno di supremazia dell’ingegno e di vitalità. Sogno una Milano risorgente europea, una Milano metropolitana nuova con un volto nuovo. Certo, caro Bognetti, occorre convincersi, che la facciata non mi dà un volto degno: ti dà un volto vecchiotto, fuori tempo. Credimi la facciata è brutta: e la sua mancanza di italianità dovrebbe frantumare pregiudizi di conservazione. Auguri per gli Architetti dell’una e dell’altra sponda che studiano, che si sacrificano, che seguono la tenacia e l’intelligenza di superare un certo pessimismo, che non è milanese. Milano non solo lavora, ma Milano è una città di pensiero, una Milano popolosa… e bella nel tempo e nella contemporaneità”.
La viabilità negli anni sessanta
Negli anni Sessanta la circolazione nel centro di Milano viene definita dall’Arch. Giuseppe Chiodi come “patologica”. Molte città straniere erano riuscite a liberare le città dal traffico rendendo pedonale il centro, ma questa soluzione sembrava non essere praticabile per Milano. Statisticamente, nel centro di Milano, transitavano circa 320 mila veicoli al giorno con una sosta media di tre ore. I mezzi pubblici erano saturi e anche la domanda di posti per il parcheggio andava sensibilmente aumentando. La soluzione proposta per una fattibilità a medio termine era la costruzione di strutture utili per la viabilità come parcheggi, sottopassi o svincoli. Nell’immediato invece si rendeva necessaria una regolamentazione più efficace per lo stazionamento dei veicoli al fine di tamponare l’emergenza del sovraccarico del traffico cittadino. Ad esempio gli interventi prevedevano la modulazione delle fermate dei mezzi pubblici su rotaia e su gomma, la sistemazione di incroci e nodi di traffico, la sincronizzazione dei semafori, l’aumento del numero di taxi, con una conseguente revisione dei turni di servizio. Il vero provvedimento per risolvere, o almeno attenuare, il problema era il potenziamento dei mezzi di trasporto pubblico, in particolar modo della metropolitana.
All. Bollettino n. 10/62-63
“La vera azione sostanzialmente efficace per fluidificare la circolazione nel centro può essere solo un effettivo miglioramento dei mezzi di trasporto collettivo soprattutto l’entrata in esercizio di un’efficiente rete metropolitana che, date le note caratteristiche, ottiene il massimo risultato nel drenaggio del traffico. Le nostre città e soprattutto i vecchi centri sono nati in forme e dimensioni che non sono conciliabili con le esigenze quindi non c’è un rimedio che risolva completamente la situazione, ma una serie di interventi che se non possono guarire servono però a curare e a rendere meno dannosi gli esiti di questa malattia che affligge oggi le grandi città”.
Il traffico come problema sociale
Nel 1964, le opere per un miglioramento del traffico non stavano procedendo alla velocità sperata. Si denunciano ritardi e si teme che non avendo previsto prima i problemi della circolazione, le soluzioni sarebbero diventate più costose. Il socio Gianni Mazzocchi sottolinea che a Zurigo le strade erano più strette di quelle di Milano ma il traffico risultava molto più agevole. Questo vantaggio era da imputare alla disciplina. La mancanza di ordine e regole efficienti aveva causato infatti molti incidenti stradali. Nel 1963, a Milano i feriti erano stati 37.000 circa mentre i morti erano stati 133, circa il 5% in meno di Roma. Questa differenza non era causata dalla conformazione topografica delle due città, ma da una certo “spirito” con il quale i romani guidavano per le strade della capitale. Di conseguenza, tra i fattori che potevano migliorare la circolazione, c’era sicuramente l’educazione, oltre che la costruzione di edifici con posti auto in base alla quantità di pubblico che potevano richiamare.
All. Bollettino n. 31 1963-64
“Cattiva circolazione stradale”, la diagnosi è facile: difficile è la cura di tale malanno. Ma non è vero che non si faccia “Qualche cosa” per la circolazione urbana. Mentre a Londra si festeggia il centesimo anniversario della metropolitana, a Milano si stanno rifilando i marciapiedi, si costruisce una linea di metropolitana che forse sarà completa tra 50 anni e non basta certo la promessa per migliorare la circolazione.(…). Fra i fattori che possono migliorare la circolazione il fondamento è l’educazione: educazione che oggi è del tutto trascurata. Ci fu una proposta parlamentare perché si insegnassero nelle scuole le regole della circolazione, ma la proposta fu bocciata. (…) Il nostro governo ha preso un provvedimento importantissimo: siccome i morti negli incidenti stradali sono troppi, per non allarmare l’opinione pubblica, ha dimezzato le statistiche. Queste sono letteralmente le disposizioni impartite dall’Istituto di statistica: si considerano morti negli incidenti solo coloro che muoiono sulla strada al momento della sciagura, se l’infortunato viene portato in ospedale e muore dopo uno, due , tre giorni o dopo una settimana, la statistica lo considera ferito, e così noi nelle statistiche troviamo solo la metà dei morti negli incidenti”.
Il traffico privato tra gli anni 70 e 90
Nel 1966 i cittadini milanesi possedevano più di un’automobile per famiglia. Il problema quindi del traffico in città aveva continuato ad aggravarsi senza nessuna soluzione concreta o definitiva. Da una parte l’Amministrazione comunale aveva adottato politiche per disincentivare l’uso del mezzo privato, d’’altra parte invece i cittadini si lamentavano dell’inefficienza e della lentezza dei mezzi pubblici in particolare dei tram. Una delle proposte che negli anni erano state messe sul tavolo era stata quella di scaglionare gli orari di lavoro secondo alcuni modelli europei, al fine di attenuare la congestione nelle ore di punta. Per raggiungere questo obiettivo si era proposto di attuare l’orario continuato così che si potesse configurare l’orario su tre fasce orarie: dalle 8 alle 17, dalle 9 alle 18 e dalle 10 alle 19 a seconda delle categorie interessate.
Soluzioni a problemi complessi
Negli anni 90, il problema del traffico cittadino non era ancora stato risolto in maniera efficace nonostante l’aumento delle linee metropolitane e del passante ferroviario. La terza linea di metropolitana con i relativi parcheggi aveva portato ad una diminuzione dei flussi solamente del 10%. Il Piano Direttore della mobilità aveva programmato un ingente aumento del trasporto pubblico, ma la realizzazione dei progetti non era prevista a breve termine. Il tema in questi anni non era focalizzato solo sulla congestione delle auto, non era solo un problema di viabilità, ma anche di salute pubblica, infatti i due obiettivi importanti del Piano erano il contenimento dell’inquinamento e la salvaguardia del diritto alla mobilità pedonale. I mezzi usati dall’amministrazione comunali per raggiungere questi scopi, si erano rivelati insufficienti, i divieti di sosta tra i Navigli e i Bastioni e la chiusura del centro della città non garantivano una maggior sostenibilità ambientale ed era quindi necessario cambiare la logica della mobilità,
riconoscendo al trasporto privato un costo superiore e rendendo a pagamento tutti i parcheggi sul suolo pubblico con tariffe differenziate in funzione della zona e del tipo di utente. In questo modo si prevedeva una minore congestione, minor inquinamento e disservizi dei trasporti pubblici. Inoltre i ricavati dei parcheggi potevano venire destinati ad un miglioramento del trasporto.
Bollettino 14, 10 luglio 1969
Avv. Stefano Pastorino: “Le prospettive del traffico urbano nei prossimi anni non consentono ottimismi, soprattutto per il fatto che mancano le disponibilità finanziarie per un rapido completamento della rete metropolitana e per le costruzioni di importanti opere pubbliche. Il traffico è maggiormente concentrato nei quartieri commerciali ed è maggiore nelle cosiddette ore di punta. (…) Occorre quindi intervenire sugli stessi orari di lavoro, che delle punte del traffico sono la causa diretta, cercando di ottenere degli sfasamenti tra le diverse branche di attività”.
Bollettino n.22 , 5 febbraio 1991
Pietro Gelmini, direttore Centro studi Traffico: “Liberandosi poi dall’equivoco che la chiusura del Centro Storico possa costituire una condizione indispensabile per una riduzione generalizzata del traffico complessivo afferente a Milano, è possibile impostare una politica di salvaguardia ambientale attraverso l’istituzione di aree pedonali, di aree a traffico limitato, di assi privilegiati per il trasporto pubblico che interessi non solo il centro storico bensì l’intera città. Mi permetto di dissentire sulla formula troppo semplicistica attualmente adottata di considerare una zona unica a traffico controllato: i motivi di dissenso sono quattro: innanzitutto perchè questa formula è inefficace, come già ricordato in precedenza, nel drenare i flussi di traffico afferenti a Milano in quanto l’area interessata è troppo limitata, in secondo luogo perché il permesso unico di circolazione porta all’abuso dell’automobile all’interno del centro stesso da parte di coloro che ne sono dotati, in terzo luogo l’impegno della vigilanza urbana è eccessivo per controllare il rispetto di una meccanismo per altro poco efficace, in quarto luogo perché non riesca a trovare alcun criterio scientifico di salvaguardia ambientale e del trasporto pubblico che dimostri prioritaria la chiusura al traffico di strade quali via Larga rispetto ad interventi in decine e decine di strade al di fuori della cerchia dei Navigli”.