I nuovi mezzi e vie di trasporto
La prima metropolitana per Milano in piena crescita
Milano, come altre grandi città, era in piena crescita demografica e questo comportava un problema nella logistica delle persone e dei mezzi di trasporto. La necessità di costruire due gallerie sotterranee era considerata la risposta per migliorare il trasporto dai quartieri periferici della città che si stavano costruendo per decongestionare il centro. In una visione globale ed integrata della viabilità cittadina, le linee metropolitane erano pensate per spostare grandi numeri di persone su lunghe distanze, le linee tranviarie di superficie dovevano servire grandi masse su piccole distanze o zone intermedie alla metropolitana, infine i servizi automobilistici dovevano trasportare poche persone su distanze relativamente estese.
Nel gennaio del 1926, il socio Riccardo Luzzati, consigliere delegato delle Ferrovie Nord, aveva informato il club che era stato sottoposto al consiglio Comunale il capitolato per la costruzione e l’esercizio delle prime due linee della metropolitana.
La prima prevedeva un tragitto da piazza Buonarroti a Corso Indipendenza passando per Piazzale Nord, oggi Piazzale Cadorna, Largo Cairoli, Piazza del Duomo, Piazza Verziere, ora Largo Augusto, e Piazza Emilia.
La seconda invece, era prevista da Piazzale Loreto a Piazzale Vigevano per passare poi da Piazzale Fiume, Piazza Cavour, Piazza della Scala, Via Torino e Corso Genova.
Nel 1927 il podestà Belloni istituì una Commissione per valutare il progetto. La lunghezza complessiva era prevista di 14,7 km, per un assorbimento del traffico tranviario pari a 90.000.000 di viaggiatori all’anno. La spesa per la costruzione di entrambe le linee era preventivata con una cifra complessiva di 450.000.000.
Alla luce di questi obiettivi l’Ing. Carlo Semenza e l’Arch. Piero Portaluppi progettarono 125 km di metropolitana entro i confini urbani ai quali si aggiungevano altri 282 km per l’area extraurbana. Inizialmente le gallerie erano accessibili solo per le vetture tramviarie, le quali ne percorrevano la lunghezza grazie ad un piano inclinato. Per esempio una vettura tramviaria proveniente da via Boccaccio che arriva in piazza Cairoli avrebbe proseguito la sua corsa sul piano inclinato per raggiungere la galleria, poi avrebbe viaggiato in superficie da Piazza Verziere, ora Largo Augusto, fino a Corso Venezia per terminare in Piazzale Loreto. In questo modo, si era previsto di eliminare il traffico tramviario di superficie nelle più congestionate Via Dante, via Manzoni e Corso Vittorio Emanuele. Le gallerie sarebbero state progettate per essere poi in futuro utilizzate da veri e propri treni ferroviari.
Bollettino settimanale n.3 19 luglio1927
“Lo sviluppo di tutte le grandi città ha dato luogo a due forme di agglomeramento intraurbano che dagli americani sono designati rispettivamente: congestione delle abitazioni o congestione delle strade, riguardante l’incremento della popolazione che abita una zona limitata del territorio, l’altra il sorgere entro la città di determinanti centri, ai quali gran parte della popolazione affluisce per attendere ai propri affari. Per ovviare agli inconvenienti occorrono provvedimenti distinti. Alla congestione delle abitazioni si può ovviare favorendo il decentramento, ossia creando alla periferia della città nuovi centri abitati ed assicurando a questi ultimi contemporaneamente rapidi ed economici mezzi di trasporto. Il provvedimento del congestionamento delle strade è quello di rimuovere le cause che lo determinano, ossia allargamento delle strade consistenti ed apertura di nuove arterie”.
Gli aeroporti
L’idroscalo
Nel 1927 una legge imponeva di istituire dei campi di fortuna per il servizio aereo al fine di gestire, tramite idrovolanti, sia il trasporto passeggeri, sia quello merci, in tempo di pace e in tempo di guerra. Per costruire un idroscalo nel Milanese, inizialmente, si erano identificate due aree diverse una a Lodi e un’altra ad Abbiategrasso. Successivamente invece venne individuata un’area a sud di Lambrate. Dopo una valutazione dell’Ufficio tecnico della Provincia di Milano si era convenuto che quell’area confinante con il comune di Segrate era molto adatta perché ricca di sabbia e ghiaia. Questa particolare morfologia avrebbe permesso di risparmiare dei soldi e iniziare
in maniera rapida i lavori. Riprendendo il progetto iniziale dell’Ing. Fabio Mainoni, allora Presidente della Fiera di Milano, l’Avv. Sileno Fabbri propose di creare un unico bacino molto grande, così da poter avere altre funzioni al servizio dei cittadini. L’Idroscalo, alle porte di Milano, poteva diventare anche un luogo di aggregazione dove si svolgevano attività ricreative come canottaggio, bagni e corse con il motoscafo. Il bacino avrebbe avuto una lunghezza da nord a sud di due chilometri e mezzo e una larghezza di 300 metri. Lungo il litorale ci sarebbe stata una strada di servizio e per raggiungere il luogo in maniera agile, si sarebbe prolungato in linea retta Corso XXII Marzo. I problemi da risolvere riguardavano il flusso e stabilità dei volumi di acqua, infatti bisognava studiare qualche soluzione per avere sempre la giusta quantità di acqua. A tal proposito, si era domandato al demanio di concedere due metri cubi al minuto di acqua proveniente dalla Martesana che confluivano attraverso un sistema di canali sotterranei.
Allegato al boll. n.21, 2 giugno 1931
“Si doveva innanzitutto cercare la località più adatta ed allora mi rivolsi al Comm. Mainoni, quale membro della Lega Aerea. Egli infatti aveva già studiato un suo progetto, che non so per quali ragioni non aveva potuto realizzare. Tale progetto riguardava la creazione di un idroscalo nella zona sud della stazione di Lambrate, nella parte confinante con il comune di Segrate. (…) In realtà il progetto di Mainoni non mi piacque. Ed infatti, rivolgendomi ai tecnici ebbi orientamenti più precisi. Il Mainoni pensava di creare due o tre bacini: uno più lungo, poi ad una determinata distanza un altro di proporzioni ridotte e poi un altro più piccolo: insomma dava l’impressione che l’apparecchio che si fosse trovato al bisogno avrebbe dovuto saltare come le cavallette.
Per un’idea di aeroporto
Alla fine degli anni Quaranta l’aviazione civile era già in funzione da più o meno venti anni e gli aeroporti erano stati divisi in tre gruppi A-B-C, in base al tipo di traffico aereo. L’aeroporto di categoria A era destinato al traffico aereo intercontinentale, il B internazionale e il C a quello domestico. Alla fine degli anni Quaranta né Milano e né l’Italia in generale, avevano ancora un aeroporto intercontinentale. I voli provenienti da oltreoceano sorvolavano infatti lo spazio aereo italiano ma solo per raggiungere gli scali in altre città d’Europa. Secondo il Generale Carlo Drago le aree più idonee ad accogliere un aeroporto di tipo A erano: Roma, per gestire il traffico turistico, e il centro della Val Padana per il traffico finanziario-commerciale. In quest’ultima zona, a quel tempo era attivo soltanto l’Aeroporto Forlanini, aeroporto militare, che era deputato al traffico nazionale ed internazionale ma non era più sufficiente. D’altra parte la struttura non era ampliabile a causa della natura melmosa del territorio e per la vicinanza dell’Idroscalo che rendeva la zona particolarmente nebbiosa. Anche altri aeroporti già esistenti non erano adatti al progetto di un aeroporto intercontinentale per diversi motivi, per esempio quello di Bresso era troppo vicino a centri abitati, quello di Camori, vicino Novara, avrebbe portato ad un esteso esproprio di terreni privati. Tuttavia i due piccoli aeroporti di Lonato Pozzolo-Malpensa sembravano essere la soluzione ideale.
Il progetto di Malpensa
Nel 1958, dopo svariate consultazioni, il Comune e la Provincia riescono a superare le obiezioni rispetto ai costi dei progetti presentati per rendere efficiente il futuro aeroporto di Malpensa e valorizzare l’Aeroporto Forlanini. Si potrà costruire una pista della lunghezza di 3 chilometri per servizi intercontinentali a Malpensa e un’altra pista di 2 chilometri e duecento metri a Linate per il servizio nazionale ed europeo. Il dott. Eugenio Radice Fossati esprime il suo punto di vista ai soci, sottolineando che per quanto riguarda i lavori pubblici, al di là delle incomprensioni e delle polemiche, il centro dei problemi più urgente da risolvere è sempre di carattere tecnico. Per quello che riguarda l’aeroporto è utile studiare gli interessi degli utenti e le direzioni tecniche delle aerolinee, analizzare i costi dei vari scali in maniera realistica e progettare delle strutture che possano gravitare attorno ad essi. Secondo la previsione di Radice Fossati, Milano non potrebbe mai essere un grande centro terminale di linee ma sicuramente sarebbe idoneo a diventare un centro di smistamento e di transito.
Per una ottimizzazione delle operazioni, il socio aveva proposto di costituire un unico organismo che potesse prendere in carico gli studi, la tecnica, la scelta e la costruzione dell’aeroporto e del trasporto per l’aeroporto di Milano. Una società che, come ricorda il sindaco Virgilio Ferrari, esisteva già: la Società Esercizi Aeroportuali (SEA) .Tra i primi provvedimenti da prendere c’era inoltre la richiesta di cessione del terreno dell’aeroporto di Malpensa, di proprietà del demanio, in favore della provincia e del comune. Una seconda fase prevedeva la costruzione di alberghi e altri strutture che potessero fornire dei servizi ai viaggiatori in transito e agli equipaggi. Alcuni non erano dell’idea di suddividere i servizi degli aeroporti di Linate e Malpensa in base al tipo di traffico e non ritenevano urgente uno scalo intercontinentale. A tal proposito si sosteneva che ormai il transito era misto e quindi era necessario un servizio che potesse soddisfare le esigenze di qualsiasi tipo di passeggero. Milano raccoglieva principalmente il traffico internazionale o nazionale, quindi l’esigenza di avere uno scalo intercontinentale non si figurava immediata, ma proiettata nel futuro.
Gli aeroporti: La parola al sindaco Virgilio Ferrari
Il primo problema evidenziato dal sindaco Ferrari riguardava la riqualificazione di Linate che era un aeroporto militare e doveva essere adattato per accogliere il traffico civile: ma, allo stesso tempo, Milano non poteva restare senza un aeroporto funzionante durante i lavori. In accordo con il Ministero della difesa si era convenuto che Milano aveva bisogno di due scali e che i lavori necessari per entrambi erano i seguenti. Per l’aeroporto di Malpensa: una pista principale da ricavare con lavori di ristrutturazione prolungando di altri 3000 metri quella attuale, una seconda pista della lunghezza di 2500 metri a distanza di circa 200 dalla principale. Per quanto riguardava Linate bisognava costruire una pista orientata di 3500 metri e larga 60, una pista di rullaggio collegata con bretelle alla pista di decollo. Esaminando i costi e i tempi di realizzazione dei lavori il sindaco riteneva opportuno dare precedenza ai lavori di ristrutturazione di Malpensa piuttosto che costruire strutture ex novo per Linate. In questo modo i tempi si sarebbero accorciati e Milano non avrebbe rischiato di rimanere senza aeroporto. Questa decisione era stata determinata anche dal fatto che L’Aeronautica militare che era in capo a Linate, non aveva ancora espresso un accordo per l’aeroporto e che gli oneri economici per l’Amministrazione comunale sarebbero diventati troppo alti anche in vista delle concomitanti spese per la costruzione della metropolitana.
Boll. n. 13, 8 aprile 1947
“L’aeroporto nei pressi di Roma servirebbe per il traffico turistico-politico, ed infine l’aeroporto nel centro della val Padana per il traffico finanziario-commerciale. Non ho alcuna prova per dimostrare come sia necessario un Aeroporto per il traffico intercontinentale nel centro della Val Padana e precisamente nei pressi di Milano, però non c’è dubbio che esponenti di linee inglesi ed americane hanno fatto numerose richieste per conoscere su quale aeroporto dall’Italia Settentrionale potrebbe essere fatto atterrare il traffico di grossi apparecchi ed a tali richieste ci siamo trovati nelle condizioni di dire che oggi nessun aeroporto è nella condizione di ricevere grossi apparecchi che eseguono una linea regolare”.(…). Lonato Pozzolo-Malpensa secondo l’opinione dell’Aeronautica, rappresentano la soluzione integrale al problema. I due aeroporti sono riuniti fra loro con un tratto di brughiera che costituiva un poligono di tiro di caduta, pertanto il terreno della Malpensa e di Lonato Pozzolo, riuniti attraverso il poligono, rappresenta una superficie di circa 12 km. (…) il terreno costituente il complesso Malpensa – Lonato Pozzolo poligono di tiro è tutto demaniale e costituito da brughiere, come tale non comporta spese di acquisto né alienazioni di terreni produttivi all’agricoltura. La distanza media da Milano è di 35 km, che potrebbe addirittura essere diminuita con opportuni raccordi stradali.”
Boll. n 545, 11 febbraio 1958
“Per prima cosa devono essere esaminati gli interessi degli utenti, i viaggiatori, e le direzioni tecniche delle aviolinee devono essere interrogate e le loro opinioni giustamente considerate. Poi esiste un fattore costo. Quando analizziamo tecnicamente questi diversi progetti, non possiamo discuterli con delle cifre che sono spesso profondamente incerte. Solo se le cifre si avvicinano a concetti di realtà assoluta, solo allora noi possiamo confrontare i diversi aeroporti: Linate, Malpensa, Gorla minore (cioè quella striscia di scarsissimo valore agricolo a nord del bivio di Lainate fra il braccio dell’autostrada di Varese e quello di Como), e vedere in ognuno un costo, una comodità, un facile collegamento non solo con Milano ma con tutto il vasto territorio che verso un grande aeroporto verrà a gravitare. Ora i voti possono essere fatti per un aeroporto sono: la vicinanza, insieme a un certo concetto di sicurezza , e che possa essere unico per una città che ha il traffico aereo di Milano (esclusi ben inteso gli aeroporti a turismo sportivo) perchè effettivamente i molti aeroporti portano ad una spesa di gestione notevolmente superiore e anche un certo disturbo per l’utente per cui se si trova una soluzione unica ritengo valga la pena di caldeggiare questa soluzione”. (…). E poiché Milano , per la verità, provvede anche ai problemi degli altri, ed è lieta di partecipare al benessere collettivo nazionale, occorre che lo stato si preoccupi anche di problemi milanesi, che per essere di preminente interesse collettivo, sono sicuramente d’interesse nazionale e nel quadro delle ricchezze nazionali debbono essere affrontati. MI è stato inviato dalla Società S.E.A. un progetto di realizzazione del Forlanini che parla di circa 7 miliardi. Se aggiungiamo i 4 miliardi necessari per il potenziamento dell’aeroporto della Malpensa raggiungiamo la rispettabile cifra di 11 miliardi, e abbiamo così un rilevante problema amministrativo da risolvere. Può il comune, la provincia e l’eventuale generoso contributo dei privati risolvere questo problema? Penso sia difficile”.
Il punto sull’aviazione negli anni 70
“Non si sa quando si parte; quando si parte non si sa quando si arriva; quando si arriva non si sa se ci sarà la scaletta per scendere dall’aereo”. In questa frase viene sintetizzata la situazione dell’aviazione italiana. Negli anni 70, le cause per questa diffusa inefficienza erano state individuate nelle carenze di strutture aeroportuali, scioperi troppo frequenti, limitazione dei corridoi aerei. Gli esperti esterni e i soci che avevano partecipato al dibattito, inoltre si dividevano tra chi riteneva opportuno che l’Aviazione militare continuasse ad occuparsi sia dei servizi in volo dei voli civili che militari, e chi invece sosteneva che Alitalia dovesse predisporre una “base di armamento” a terra, nonostante le difficoltà che doveva già affrontare. La compagnia di bandiera infatti, aveva dovuto sospendere molti voli per evitare cancellazioni che avrebbero screditato l’immagine dell’azienda. Ulteriori disservizi erano dovuti dall’inadeguatezza delle infrastrutture e dall’insufficienza dei corridoi aerei per supportare il traffico intenso per la quale era stata necessaria la sospensione di altri voli. Il tema del trasporto aereo era ritenuto dai rotariani un problema fondamentale perché aveva dirette conseguenze sull’economia nazionale in particolare nel settore turistico, per questo motivo si riteneva urgente attuare dei provvedimenti che potessero migliorare sensibilmente la situazione dell’Aviazione.
Bollettino n. 17, 25 ottobre 1972
“E’ vero che anche quest’anno c’è stato un aumento del movimento turistico rispetto all’altro anno (anche se minore in proporzione agli anni precedenti) ma si assiste ad un crescente interesse degli stranieri per i paesi nostri concorrenti del bacino Mediiterraneo. “A chi dobbiamo fare carico per quel 25% del nostro turismo che ha dovuto essere dirottato su altri paesi per l’attuale crisi dei trasporti via cielo? e che succederà infine quando con l’anno santo i pellegrini invaderanno gli aeroporti?”
Nuovi progetti per le stazioni
Nel 1953 il Ministero dei Trasporti aveva presentato i seguenti progetti per le stazioni della città di Milano.
- Copertura dei binari diretti alla stazione di Porta Nuova per tutto il tratto di viale Zara fino a quello di via Farini. La piattaforma da questa copertura servirà per la costruzione di una stazione di autolinee extraurbane e sarà raggiungibile a livello del ponte di Viale Zara.
- Copertura dei binari diretti alla Stazione di Porta Nuova al raccordo con l’anello ferroviario della Stazione Centrale. La copertura servirà per ricavare il posto di un grande parcheggio.
- Costruzione di un corridoio sotterraneo a fianco della linea metropolitana fra la Stazione di Porta nuova e la Stazione Centrale per trasportare viaggiatori e bagagli tra le due stazioni.
- Demolizione dell’attuale galleria delle carrozze di fronte alla Stazione Centrale e costruzione di un edificio moderno da assegnare ad uffici
- Costruzione di un nuovo piano destinato alla biglietteria e servizi.
- Copertura delle linee di binari per un’area di circa 70×210 in corrispondenza di Viale Lunigiana e Viale Brianza. Da questa copertura sarà ricavato lo spazio per un eliporto che sarà collegato mediante ascensori da via Aporti o Via Sammartini.
Oltre a questi provvedimenti era prevista anche l’ottimizzazione del servizio di collegamento della stazione Centrale con l’aeroporto che sarà a carico di treni leggeri ed automotrici e una nuova configurazione della Piazza Duca d’Aosta. L’inclinazione della piazza aumenterà fino ad ottenere lo spazio sotterraneo per un’autorimessa. La circolazione sarà in direzione rotatoria e circolare e le aree libere dalle strade saranno adibite ad aiuole.
Le Nord
Nel 1953, dopo sette anni, finalmente si era riusciti a portare a termine le pratiche per la ricostruzione della stazione di Milano delle Ferrovie Nord per la quale l’Arch. Gio Ponti aveva presentato il progetto di un edificio di 16 piani che però non aveva avuto le autorizzazioni necessarie. Nel frattempo i lavori di sviluppo proseguivano sul piano dell’ammodernamento della rete di trasporto.
A metà degli anni Cinquanta era in corso l’elettrificazione della linea di Novara e l’ampliamento del servizio per collegare alcune zone residenziali a nord di Milano in un raggio di 20 km per un costo al pubblico di circa 1 lira e 60. Inoltre si erano potenziate le tratte verso i laghi. Questi servizi erano possibili grazie alle 40 automotrici e alle 10 locomotrici elettriche che in quel periodo riuscivano a percorrere ben 300.000 chilometri. Nonostante i bassi costi a carico dell’utenza, le Ferrovie Nord avevano chiuso i bilanci in pareggio senza aver bisogno di nessun sussidio governativo.
Boll.n. 655, 10 maggio 1960
[Bognetti]: So che la legge di protezione dei monumenti, coi regolamenti relativi, pone un termine, al di qua del quale la Soprintendenza non è competente: l’edificio deve avere almeno 50 anni; La Stazione fu terminata appena una trentina di anni fa. A mio vedere, è il parere di uno storico, ma in questo caso mi sento appunto su un terreno di competenza, i permessi di demolizione andrebbero piuttosto vagliati e resi difficili quando un edificio appartiene a tempi più recenti ed abbia (com’è indiscutibile in questo caso) carattere monumentale. Perché è certo che si deve constatare, per gli stili del passato, un’avversione quasi costante da parte delle generazioni immediatamente successive: tant’è che, in modo diverso, gli stili non sarebbero cambiati, mentre sono assai spesso con una netta inversione di caratteri, dal gotico al Rinascimento; dal barocco al rococò, al neoclassico e così via. (…) Personalmente so di avere avuto già per lo stile della facciata della Stazione, quella incomprensione, uso il termine attenuato, che in tanti rimane e vigoreggia; ma di averla già superata cosicché anche per un apprezzamento di cultura, devo dire il prospetto della facciata della stazione, con gli altissimi fornici, con l’ imponenza da antico edificio termale, con la nobiltà del materiale in cui è eseguito, oggi mi piace e altrettanto devo dire per il movimento delle masse, nella visione, da tre quarti, dell’edificio. Che ci siano in più punti dei particolari decorativi verso i quali anche in me l’incomprensione permane, non lo nego, ma altrettanti si trovano per esempio in più punti del Duomo, la cui facciata cento anni fa (e anche recentemente) si voleva completamente rifare, mentre oggi non c’è persona, penso, che la toccherebbe. Per questo il motivo stilistico, nemmeno come pretesto, deve venire in appoggio a modifiche dell’attuale Stazione: mentre va rivendicato ad essa il carattere di un vero monumento storico.(…) Avv. Acetti: Per temperamento sono contrario a forme di conservatorismo del grande brutti. Sono in disaccordo al principio profilato dal mio caro ammirato amico Bognetti e dissento, perché la tutela del brutto non funzionale non mi garba affatto. Penso che il brutto della Stazione non si accorda alle esigenze urgenti di una Milano metropolitana che risorge che non è la Milano del Naviglio sotterrato, ma una Milano modernissima, magnifica, nuova, europea. (…) Vedo Milano in una fioritura di architetti di talento moderno. L’architettura è segno di supremazia dell’ingegno e di vitalità. Sogno una Milano risorgente europea, una Milano metropolitana nuova con un volto nuovo. Certo, caro Bognetti, occorre convincersi, che la facciata non mi dà un volto degno: ti dà un volto vecchiotto, fuori tempo. Credimi la acciata è brutta: e la sua mancanza di italianità dovrebbe frantumare pregiudizi di conservazione. Auguri per gli Architetti dell’una e dell’altra sponda che studiano, che si sacrificano, che seguono la tenacia e l’intelligenza di superare un certo pessimismo, che non è milanese. Milano non solo lavora, ma Milano è una città di pensiero, una Milano popolosa… e bella nel tempo e nella contemporaneità”.
L’Autostrada del Sole
Il 23 ottobre del 1958 il consocio Comm. Antonio Orlandi, vice Presidente della società Concessioni e Costruzioni autostrade, aveva invitato i soci del club a visitare i tronchi dell’Autostrada del Sole che sarebbe stata aperta al traffico entro quell’anno.
La posa della prima pietra era avvenuta nel 1956 a S. Donato Milanese: a quel tempo non c’era ancora la certezza tecnica e finanziaria di poter completare l’opera fino a Napoli. La concessione immediatamente eseguibile era prevista solo per il tratto fino a Piacenza, per il resto si aveva in mano solo un progetto di massima. Il piano economico era basato sull’emissione di 120 miliardi di obbligazioni trentennali al 6% garantite da un’ipoteca sulla strada. Dopo 30 anni tutte le attività della Società sarebbero passate allo Stato.
Il modello di gestione della società si ispirava a quello statunitense , ma tale modello non era adatto alla realtà italiana. In America le imposte erano notevolmente più basse e le spese erano a carico dei singoli stati della confederazione, inoltre era in vigore un sistema di esenzioni inapplicabile in Italia. Tuttavia, se non era possibile replicare il sistema di finanziamenti americani, si poteva ipotizzare un sistema di gestione che prevedesse un Ente il meno possibile burocratizzato, con personale della Sede Centrale costituito da dirigenti, che supervisionassero gli appalti, i progetti esecutivi, gli espropri, la segnaletiche, le telecomunicazioni e il servizio di soccorso. Oltre ai professionisti privati dovevano collaborare anche l’Automobile club, il Touring club, la Federazione Italiana Strade, la Polizia stradale. Erano inoltre previsti servizi agli utenti come motel, alberghi diurni e stazioni di servizio la cui gestione era già stata appaltata.
Per quanto riguardava i volumi di traffico, quello automobilistico aveva superato le previsioni, mentre rimaneva più ridotto quello dei pullman e dei camion: per questo motivo erano state previste due settimane di pedaggio gratuito per promuovere l’utilizzo del’’Autostrada da parte dei mezzi pesanti. Le tariffe erano considerate troppo alte ma necessarie dal momento che il ricavo era ripartito come segue: di 100 lire pagate dall’utente, 60 erano destinate all’ammortamento dei capitali al netto del contributo statale, 23 erano riservate al pagamento di tutte le varie imposte e solo 17 rimanevano per la manutenzione dell’opera.