I luoghi dell’arte
Le attività archeologiche del Politecnico per un Museo archeologico
Nel 1956 il rotariano Dott. Carlo Maurilio Lerici aveva presentato i primi risultati dell’attività archeologica del Politecnico di Milano. Nei quattro anni successivi, la ricerca si era concentrata sulle zone dei centri urbani di Vulci e della città greca di Sibari. Sono state studiate 2500 tombe a camera (di cui 20 affrescate), dalle quali sono stati recuperati circa 5500 pezzi di scavo. Per valorizzare e conservare tutto questo materiale la Fondazione è disposta a costituire un Museo Archeologico a Milano qualora il comune trovi una sede adeguata. I problemi per la realizzazione di questo progetto, però, non sono solo di ordine logistico ma anche economico e amministrativo. Gli studiosi infatti non avevano avuto un riconoscimento del lavoro fatto in termini monetari, ma la promessa di una quota a titolo di “scopritori occasionali”, che non sono disposti ad accettare.
Per continuare a partecipare attivamente a questo progetto, il Politecnico ritiene necessario un provvedimento legislativo che consenta di estendere la sua attività in ogni zona archeologica italiana e collocare tutto il materiale scoperto nel nuovo Museo di Milano.
All. bollettino n. 15/60-61, 11 ottobre 1960
“Precisamente sono state individuate numerose formazioni sepolte dei centri urbani di Vulci e della città greca di sibari, sono state scoperte ed esaminate 2500 tombe a camera delle quali oltre 20 dipinte e sono stati recuperati oltre 5500 pezzi di scavo, tutto per un valore molto superiore alle spese da noi sostenute. (…). Tutti i nostri tentativi di ottenere un riconoscimento del lavoro da noi fatto per avere almeno un rimborso delle nostre spese non hanno avuto esito, mentre gli stessi proprietari che non fanno assolutamente nulla, hanno il diritto a compensi che possono raggiungere il 25% del valore. Tutto quello che ci è stato promesso? è di avere la stessa quota a titolo di “scopritori occasionali” qualifica che non siamo disposti ad accettare.(..). Ora io vorrei fare presente che il materiale che verrà assegnato al Politecnico non sarà disperso sul mercato, ma la nostra Fondazione è disposta a costruire con esso la dotazione di una grande Museo archeologico , qualora il Comune di Milano possa mettere a disposizione una sede adeguata”.
Rotariani in visita alla Pinacoteca di Brera dopo la seconda guerra
Il 30 maggio i soci del Rotary di Milano non si erano ritrovati per una conviviale ordinaria ma per condividere un evento straordinario. Durante la seconda guerra mondiale la Pinacoteca di Brera aveva subito pesanti danni e il Comune si era impegnato a ristrutturarne i locali con la mediazione del socio Ing. Filippo Madonini, che era provveditore ai lavori pubblici della Lombardia e il contributo di alcuni privati tra i quali il socio dott. Comm. Gino Caramelli Presidente della Feltrinelli. In occasione dell’avanzamento dei lavori i soci del Club si erano recati in visita alla Pinacoteca guidati da Piero Portaluppi. Per la prima volta potevano conoscere il nuovo direttore del Museo che per la prima volta era una donna e si chiamava Fernanda Wittgens.
Boll. n. 168, 30 maggio 1950
“Oggi come sapete, in luogo della solita conferenza , abbiamo in programma di partecipare ad una primizia di grande importanza: la visita alla Pinacoteca di Brera. Rinnovo qui il mio ringraziamento a Portaluppi (applausi) e al nuovo Direttore di Brera, che come saprete è una Direttrice , la Dottoressa Wittgens.
“Raccolti nel cortile di Brera, i Rotariani, ai quali si erano aggiunte molte gentili signore sono stati brevemente introdotti alla visita dall’Arch. Portaluppi e dalla Dottoressa Wittgens, che hanno poi pilotato la grande comitiva su per lo scalone e per le vaste gallerie e le luminose sale alle quali gli operai stavano dando gli ultimi tocchi, mentre già a molte pareti splendevano i gloriosi capolavori ritornate ad impreziosirle. Un vivo elogio è stato tributato ai consoci Ing. Madonini, provveditore ai lavori pubblici per la Lombardia ed al Comm, Cardarelli, Presidente della “Feltrinelli” per la loro varia ed appassionata assistenza che ha reso possibile la realizzazione di questo nuovo complesso veramente degno di Milano e della sua tradizione artistica”.
Le chiese del periodo ambrosiano
In tema di valorizzazione del patrimonio artistico, “La Milano di Sant’Ambrogio”, è fonte di nuovi interessi. Durante i lavori di scavo sono stati scoperti i resti della chiesa di Santa Tecla, la Basilica Nova, che è stata ampiamente documentata e studiata da Alberto de Capitani (1909-1948). Un altro monumento importante della Milano ambrosiana è San Nazaro. Di questo monumento si è conservata la pianta cruciforme originaria, e un’epigrafe sulla quale si può leggere “Condidit Ambrosius templum Dominoque sacravit / nomine apostolico munere reliquis, / forma Crucis templum est templum victoria Christi / sacra triumphalis signat imago locum.” La chiesa aveva un aspetto diverso da quello attuale, in particolare rispetto alla copertura e in generale alla sua concezione spaziale. Dietro l’angolo del braccio destro c’è una piccola cappella chiamata “basilichetta di San Lino”, costruita verso la metà del X secolo dall’Arcivescovo Alderigo, che per la forma potrebbe essere accostata a San Satiro.
Nel 1951, la relazione del rotariano Luigi Crema, ha come tema principale la Basilica di San Simpliciano, la cui scoperta è avvenuta in maniera “più pacata”, rispetto a San Nazaro. Per vent’anni questa chiesa era creduta di origine medievale, invece gran parte delle sue strutture risalgono al periodo ambrosiano. In origine infatti doveva essere la Basilica Virginum, iniziata da Sant’Ambrogio e poi continuata da San Simpliciano, suo successore che viene seppellito nella basilica stessa. Queste basiliche non sono importanti solo da un punto di vista artistico, ma anche storico. Esempi di questo tipo di architettura possono essere trovate sia a nord in prossimità del Reno che sull’Adriatico. Questo fa capire come Milano avesse un ruolo di mediatore all’interno dell’impero.
All. boll. n. 201 del 16 gennaio 1951
“Comunque, anche se temporanea, facciamo questa evasione verso il passato e sia questa evasione verso la Milano di Sant’Ambrogio. Una Milano che si è rivelata in questi ultimi anni ricca di monumenti in maniera che possiamo dire insospettata. (…) così è stato in particolare per i resti di Santa Tecla, la Basilica nova che, venuti in luce durante gli scavi del ricovero di Piazza Duomo, ci sono stati conservati dalla passione del povero Alberto De Capitani in un’ ampia documentazione, che possiamo utilizzare. (…). Il primo monumento è San Nazaro, piuttosto noto, se pur fuor del Duomo si possa parlare a Milano di monumenti noti, perché mi pare che i milanesi e i loro monumenti sono (siano?) invece piuttosto ignoti. (…). San Nazaro si è rivelato un monumento nettamente paleocristiano, un monumento ambrosiano. Passiamo piuttosto alla altra scoperta, quella avvenuta in maniera più pacata, attraverso le indagini degli studiosi, il Prof. Arslan dell’ università di Pavia, e il povero De Capitani. Si tratta di San Simpliciano. (…). Noi giravamo intorno a questa chiesa , alta più di 20 metri, credendola medievale, mentre invece, non dico tutta, ma in grandissima parte delle sue strutture, fino al tetto, è dell’età di Sant’Ambrogio”.
Manutenzione e conservazione nella seconda metà del 900
La manutenzione necessaria. L’impegno per il Palazzo della Ragione
Nel 1961 il Palazzo della Ragione era passato dallo Stato al Comune, che si apprestava ad un restauro di 200.000 lire che però non fu mai realizzato per mancanza di fondi. Tra le cause del dissesto del Palazzo c’erano gli scavi, le vibrazioni della vicina metropolitana e il prosciugamento della falda acquifera. Queste criticità avevano reso necessario una struttura di sostegno in attesa di delibera comunale rispetto ad un restauro o ad una demolizione. All’interno del Palazzo storico erano conservati degli stemmari dei magistrati settecenteschi, sotto i quali si erano ritrovate precedenti pitture seicentesche che senza un restauro completo non sarebbero state valorizzate. Nel sottolineare l’urgenza dei lavori, il socio l’Architetto Antonio Cassi Ramelli aveva invitato i rotariani a farsi carico dell’iter burocratico previsto per l’inizio dei lavori, così che la procedura potesse essere il più veloce possibile.
Bollettino n. 27, 1976/77, 8 febbraio 1977
Antonio Cassi Ramelli: “A suo tempo, cioè quando riuscii a restaurare e far restaurare non come volevo ma come ho potuto il Palazzetto dei Panigarola, ho spinto scavi in fregio al cardo romano via Manzoni-S. Margherita- Cantù- S. Maurilio- fino a profondità che pochi avevano raggiunto e ho potuto studiare da vicino gli effetti dei vari traumi successivamente sofferti dal nostro edificio, traumi e lesioni che, come ripeto, a mio parere costituiscono premessa indispensabile, se di restauro vero e proprio si vuol parlare e non della solita “rincorsa” dei coppi della copertura che si usa gabellare come tale (…). Personalmente pagherò subito ed entusiasticamente quanto deciderete, senza condizioni. Cioè, comunque venga effettuato il restauro”.
Le criticità del Refettorio
I problemi riscontrati nel Refettorio di Santa Maria delle Grazie negli anni tra la fine degli anni 70 e l’inizio degli anni 80, erano di natura complessa. Alcuni erano dovuti all’umidità e riguardavano direttamente la parte dipinta. Altre parti rischiavano invece di essere compromesse dalla tecnica di “affresco” usata direttamente da Leonardo che avrebbe favorito lo sviluppo di muffe. Inoltre il forte afflusso di visitatori e la mancanza di un sistema di filtraggio dell’aria avevano peggiorato la situazione. Oltre ai pericoli riguardanti l’opera di Leonardo, si dovevano prendere in considerazione anche la precarietà della struttura stessa del refettorio. Il tetto infatti aveva dei cedimenti, dovuti anche a dei lavori approssimativi in seguito ai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Il consocio Lionello Costanza Fattori a quel tempo ricopriva l’incarico di Soprintendente ai monumenti di Milano, e si era occupato di raccogliere gli studi tecnici rispetto alle soluzioni studiate per far fronte a dissesti statici e di illustrarli ai rotariani in una relazione, sottolineando che la lentezza dei lavori non era da ricercare in eventuali inadempienze dell’Ufficio che rappresentava, ma al clima di sfiducia che ne aveva compromesso la realizzazione.
Bollettino n. 26, 10 febbraio 1981
Consocio Lionello Costanza Fattori: “Dal giugno del 1978 la Sopraintendenza per i Beni ambientali e Architettonici ha studiato la maniera di far fronte ai dissesti statici delle strutture del monumento che venivano via via dimostrati; ma altre e più gravi ancora sono invece sintomo di dissesti pericolosamente in atto. Questi ultimi sembrano fatalmente concentrarsi verso l’estremità nord-est dei quattro quadrati di circa 9 metri di lato che si debbono pensare posti in fila per avere l’immagine planimetrica del vano; e più particolarmente nell’intorno dell’angolo delle due pareti perimetrali verso est e verso nord- quest’ultima col dipinto di Leonardo”.
Gli orologi di Piero Portaluppi
Nel 1978 la famiglia Portaluppi aveva deciso di donare al museo Poldi Pezzoli alcuni pezzi della collezione di orologi solari di Piero Portaluppi, molti dei quali erano stati recuperati in mercatini dell’usato. Ma l’architetto non si era limitato solo alla collezione, perché aveva progettato lui stesso un orologio solare proprio sul piano della piazza del Duomo. La raccolta custodita al Poldi Pezzoli era sia testimonianza della passione dell’architetto per questi oggetti, sia del rammarico di non essere riuscito a portare a compimento il libro iniziato sulla misurazione del tempo. La passione per gli orologi era solo la manifestazione di una riflessione più profonda rispetto al tempo e alla sua misurazione che era stata ricordata dai soci con queste parole: “Discorrendo con gli astri che continuano con immutata pazienza a guardarci da lassù dai tempi di Babilonia e dei Faraoni ed a sperare che, di tanto in tanto, qualcuno torni a chiacchierare con loro, come faceva molte volte Portaluppi. Il che sarebbe sommamente augurabile poichè soltanto lassù vigono leggi eterne, scintillanti e non ancora corrotte”.
Il Duomo di Milano compie 600 anni
In occasione dell’anniversario dell’avvio della costruzione del Duomo e della costituzione della sua “Fabbrica”, il socio avv. Giampaolo Melzi D’Eril aveva ripercorso la storia della cattedrale che era sempre stata legata da un rapporto di affetto con il popolo milanese. I periodi più significativi erano stati: il primo trentennio dei lavori iniziali (1386-1425), la fase costruttiva del tiburio (1480-1500), l’innalzamento della guglia maggiore con la Madonnina conclusasi nel 1774, il completamento della facciata napoleonica (1808-1914).
Non si può separare la storia della Fabbrica del Duomo dall’impegno profuso dai soci del Club dal giorno della sua Fondazione. Molti rotariani, infatti, avevano messo al servizio la loro professionalità a vario titolo affinché numerosi lavori di manutenzione e ristrutturazione fossero compiuti al meglio. Tra i numerosi nomi vengono citati il prof. Leo finzi, il prof. Dell’Acqua, l’Arch. Lionello Costanza Fattori, i prof. Zerbi e Giambelli.
Bollettino n. 18 1986/87 9 dicembre 1986
Arch. Giampaolo Melzi d’Eril: “In questa stessa sala poche settimane or sono è stato assegnato alla nostra istituzione (La Fabbrica del Duomo) un ambito riconoscimento come alla “più antica azienda di costruzioni di Milano”. Altri l’hanno definita una unica e singolare raccolta di infinite schiere di scultori e di vetrai; una fucina di progetti e di ambizioni; altri ancora un prestigioso punto d’incontro di artisti, di costruttori e di artigiani dell’Europa di allora”. C’è del vero in tutto questo, ma nel duomo c’è di più: è anche l’anima della città e soprattutto è anche un approdo sereno per chi cerca nella sua affannosa esistenza un momento di raccoglimento, di ripensamento, di elevazione. Auguriamoci che gli uomini di oggi e di domani sappiano conservare intatti e puri i valori civili e spirituali rappresentati dal Duomo”.